Comunque vada sarà un disastro

Comunque vada sarà un disastro

di Giuliano Fresi

Immaginiamo una persona che entra in coma nel 2019 e si risveglia in questo autunno del 2024. Ha lasciato un mondo sì con le sue instabilità e i suoi problemi, ma non certo col sedere per terra come oggi.

Nel suo stato di incoscienza questa persona si è persa:

  • una pandemia molto dubbia che aveva come scopo il saccheggio economico e sociale delle nazioni, nonché una nuova forma di controllo sociale pervasivo;
  • il pastrocchio delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, quello di fine 2020 e quello che sta per arrivare;
  • inflazione e aumento dei prezzi di buona parte dei generi di consumo a cominciare da benzina e carta igienica;
  • il ritorno in grande stile della guerra in Europa e in Medio Oriente;
  • un’Unione Europea che oggi mostra senza veli il suo vero volto di appendice delle multinazionali, segnatamente dei fondi di investimento, una truffa continuata che si estrinseca attraverso l’ideologia verde;
  • un indebitamento pubblico mostruoso grazie a tutto quanto sopra detto.

Secondo un calcolo compiuto dal giornale online “L’indipendente” in Italia chiude un’attività commerciale ogni ora, a tutto vantaggio del commercio digitale. E, non si può negare, il 2020 ha avuto senz’altro la sua parte dell’addestrare il pubblico a ordinare tutto in rete, mentre tasse e regolamenti sempre più demenziali rendono impossibile la sopravvivenza dei piccoli negozi al di sotto di una certa soglia di incassi. Come dire, un dirigismo al contrario nel quale lo stato si arroga il diritto di stabilire le dimensioni minime di un commercio per poter esistere.

A margine di tutto questo vediamo un attacco sistematico nei confronti della piccola iniziativa, prendiamo il caso dei bed and breakfast: sviluppatisi principalmente nell’ultimo quindicennio, hanno comunque consentito a numerose famiglie di ottenere un incasso supplementare senza troppi investimenti e complicazioni. Questo non poteva andare bene alla pubblica amministrazione, imbeccata dalle associazioni degli albergatori e da nuovi soggetti – principalmente statunitensi – i quali non possono consentire la concorrenza per quanto la clientela di b&b sia nettamente diversa da quella che frequenta gli alberghi propriamente detti: per esempio l’eterno popolo dei concorsi pubblici, l’altrettanto eterno popolo di chi gira mezza Italia per una visita specialistica o per trovare un parente ricoverato. Non solo turisti, quindi. Ma la stampa allineata e le amministrazioni pubbliche blaterano di concetti totalmente inventati come “overturismo” e centri storici che non sarebbero più a disposizione degli abitanti perché non ci sarebbero più abitazioni disponibili. Come no. Dimentichiamo che in città come Roma Milano o Firenze (o Bologna) gli abitanti storici della parte più antica sono stati fatti fuggire negli ultimi trent’anni grazie a zone a traffico limitato e a un aumento generalizzato dei costi che hanno fatto preferire le periferie a molte famiglie dalle entrate non sufficienti. La cosiddetta gentrificazione, ovvero la trasformazione dei quartieri da popolari a costosi, non l’hanno fatta i b&b, ma i Comuni e le società immobiliari legate alla politica: le quali hanno guadagnato due volte dall’impossessarsi delle abitazioni antiche e dalla vendita di nuove costruzioni ai margini delle città.

Senz’altro una parte di colpa ce l’ha il federalismo alle cime di rapa che assilla questo Paese dalla seconda metà degli anni Novanta. Concedere poteri sempre più ampi a Comuni e Regioni ha fatto sì che si creassero venti piccole repubbliche incapaci di incidere nelle politiche veramente importanti grazie al fatto che gli stessi presidenti e sindaci non godono di alcuno scudo legale nell’esercizio delle loro funzioni (a differenza dei membri del governo e dei deputati), ma prontissimi a prendere qualsiasi decisione aumentasse lo spazio del partitismo e della grassazione sistematica dei cittadini. Pensiamo solamente alle addizionali regionali sulle imposte e sulle tariffe. Oppure al meccanismo perverso in base al quale le Regioni possono rimborsarsi tra loro le trasferte sanitarie dei propri sudditi alimentando autentiche transumanze di pazienti dal Sud al Nord che forniscono alle Regioni settentrionali cospicue entrate.

Ma non era il Nord a mantenere il Sud? Se parliamo di rimborsi sanitari è vero esattamente il contrario.

Poi c’è la questione del trasporto locale, che da quando è stato affidato alle Regioni non solo ha portato alla perdita di numerosi collegamenti a media distanza, ma ha reso il servizio molto peggiore di quanto poteva esserlo solo all’inizio degli anni Duemila. Stendiamo un velo pietoso su linee ferroviarie chiuse per anni con le scuse più risibili, come quella della mancanza dei sensori anti-frana o di un cantiere di poche centinaia di metri.

Inflazione: per ottenerla basta premere due bottoni: quello dell’aumento del costo del denaro e quello dell’aumento del costo dell’energia. Il bello è che tutto questo accade col pretesto di combattere l’inflazione stessa.

Nel frattempo la deindustrializzazione italiana procede a un passo mai visto prima, è roba di questi mesi la quasi totale dismissione della produzione automobilistica operata dal gruppo Stellantis. Questo è un fenomeno che comunque non riguarda solo l’Italia, ma tutto il continente europeo. Secondo una scuola di pensiero non troppo improbabile si vorrebbero trasferire migliaia di lavoratori dall’industria civile a quella bellica, che non a caso negli ultimi due anni e mezzo ha avuto una certa espansione un po’ ovunque.

Ormai la guerra è diventata un sottofondo costante, al quale la gente ha nel bene e nel male fatto l’abitudine. Non piovono ancora bombe da noi, non assistiamo ancora allo strazio dei nostri soldati che tornano in Patria dentro una cassa, e anche se ricominciasse a succedere lo sgomento riguarderebbe solo i parenti più stretti, più qualche politico di passaggio venuto a farsi la passerella davanti al feretro.

L’informazione allineata ha avuto (proprio come nel 2020) buon gioco nel polarizzare l’opinione pubblica, ammesso che ne esista una, tra tifosi dell’una o dell’altra parte. Del resto gli italiani hanno una lunga tradizione nel tifo verso l’una o l’altra causa, purché lontane nello spazio e nel tempo. In fondo, a manifestare qui non ti trovi il Mossad o i Pasdaran a spararti. Né il GRU o il Battaglione Azov vengono a cercarti a casa.

Da questo tifo per le cause esotiche manca completamente qualcuno che si occupi del nostro Paese e ricominci a parlare di Italia, di come in trentadue anni è passata dall’essere tra le prime cinque economie mondiali a un ruolo paragonabile a quello di una ex repubblica sovietica deindustrializzata e secondaria.

Ecco, di questo ci piacerebbe parlare. Possibilmente senza paraocchi ideologici: senza dare tutta la colpa agli immigrati o a un non ben specificato pericolo fascista.

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Comments

Una risposta a “Comunque vada sarà un disastro”

  1. Avatar user
    user

    come si fa a non essere d’accordo!

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