Petro, Trump e quelle tensioni sconosciute. E se l’ex “alleato di ferro” tradisse del tutto?

Petro, Trump e quelle tensioni sconosciute. E se l’ex “alleato di ferro” tradisse del tutto?

di Jean Claude Martini

Un mese, quello che stiamo attraversando, rovente non solo per il caldo ma anche per le tensioni geopolitiche che infiammano ormai ogni angolo del mondo. L’America Latina, troppo spesso sottovalutata, è sconvolta da contraddizioni non minori di quelle che travagliano l’Europa e l’Asia. Uno scontro passato colpevolmente sotto silenzio dai media, sia “mainstream” che “alternativi”, è quello tra Colombia e Stati Uniti. La prima, unico Paese della regione a “vantare” un partenariato globale con la NATO, è oggi governata da un esecutivo socialisteggiante poco incline a seguire i dettami dello Zio Sam. Lo scontro tra Petro e Trump va avanti infatti da inizio anno, propiziato dall’offensiva del tycoon contro l’immigrazione clandestina, per la quale ha chiamato in causa, con accuse prontamente rispedite al mittente, il governo di Bogotà.

Il recente richiamo reciproco degli ambasciatori è soltanto l’ultimo aggiornamento di una vicenda che ha visto anche tentativi sotterranei di colpo di Stato ai danni di Petro, tramite un’azione per linee interne che ha avuto il suo centro nell’ex ministro destituito degli Esteri, Álvaro Leyva Durán, e nella sua succeditrice, Laura Sarabia, dimessasi però spontaneamente per ragioni non meglio precisate e basate sulla sua «non condivisione» delle ultime linee politiche governative. Non è quindi dato sapere se ella condivida o meno il ritorno della Colombia nel Consiglio direttivo della FAO, avvenuto più o meno in contemporanea al suo ritiro, o i progetti di progressiva autonomia nella difesa nazionale: scartati F-16 e Rafale, Bogotà ha ufficializzato l’accordo per l’acquisto di una ventina di caccia svedesi Gripen 39 E/F, giudicati più adatti, anzi, «perfetti per le necessità colombiane», come ha detto a Sputnik Mundo l’analista Cepeda Bernal.

Se ciò sia un primo passo verso l’acquisizione di una difesa nazionale autonoma, rafforzato comunque dall’approntamento del “narcosottomarino” equipaggiato con Starlink per i sequestri della droga sempre all’inizio di questo mese, è presto per dirlo; ciò che è certo è che gli Stati Uniti stanno continuando a perdere la loro presa non solo sul mondo in generale, ma anche su quelli che erano, letteralmente fino a ieri, i suoi alleati storici, UE docet. Certo, Petro non ha revocato il partenariato con la NATO, ed è ben lungi dal prendere le misure necessarie per rompere fino in fondo con la sottomissione e la dipendenza da Washington, tuttavia ciò che sta facendo da quando è al potere (riforma agraria in primis) è già molto per la delicata posizione che ricopre. Altri, come Castillo in Perù, hanno fatto “finaccia” per molto meno, e agli americani sicuramente Noboa e Milei non bastano. Anzi, con un Venezuela sempre più legato a Russia, Cina, Iran e Turchia, una Cuba in costante avvicinamento ai BRICS e impegnata in frequenti esercitazioni militari con Mosca e un Nicaragua dichiaratamente filorusso e filocinese, lo spazio di manovra per il “vicino del nord” si va costantemente restringendo e i tentativi di riedizione del Plan Condor degli anni Settanta, ovvero la gigantesca operazione repressiva che ha regalato al Cono Sur campioni come Pinochet e Videla, non trovano molto terreno fertile. Presto è anche per prevedere un’eventuale cacciata degli Stati Uniti da quello che era il loro “patio trasero” (cortile di casa), ma la tendenza in sviluppo è chiara e non molte sono le opzioni per ribaltarla.

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