di Antonio Sparano
C’era uno pseudo economista peronista, uno megalomane liberale e un’ex montonera alcolista… non è l’incipit di una barzelletta o, come direbbero gli argentini, di un cuento chino, ma quanto andato in scena il 22 ottobre del 2023 nel paese andino: una domenica di elezioni presidenziali che vide confrontarsi, per quanto concerne i tre principali candidati, l’espressione più grottesca della società argentina. Il trionfatore del primo atto di quella farsa, ovvero il più votato del primo turno, fu il candidato dell’allora coalizione governo, il peronista Sergio Massa, super ministro dell’economia più depressa del globo, che però non superò la soglia del 45% dei voti, la quale gli avrebbe garantito la vittoria già nella prima tornata, fermandosi a poco più del 36%. Il secondo candidato più votato fu il sedicente liberale Javier Milei, che ottenne il 30% delle preferenze, seguito dal 24% di Patricia Bullrich, alias Mrs Pancake:una trasformista di prim’ordine, visto che nella sua lunga parabola politica è stata di tutto: ex montonera, ex ministro del governo di Cambiemos e attualmente membro del suo gabinetto come neo Ministro de Seguridad.
Al ballottaggio del 19 novembre, che vide contrapporsi i primi due, Massa e Milei, il risultato della prima tornata fu però completamente ribaltato e ad imporsi fu il fondatore e leader de La Libertad Avanza, che sconfisse il candidato della coalizione di governo, Unión por la Patria, con quasi 12 punti di differenza.
In termini numerici è stata sicuramente una vittoria schiacciante: Milei ha trionfato in venti delle ventitré province argentine, ottenendo il 55,69% delle preferenze che ne hanno fatto il presidente più votato degli ultimi quarantanni e il terzo di sempre, superato solo dal 61,69% di Hipólito Yrigoyen nel 1928 e da Juan Domingo Perón, che nelle elezioni del 1951 e 1973 ottennero rispettivamente il 63,40% e il 67,85%. Tuttavia, a chi è un po’ avvezzo alle questioni argentine e quindi ha ben chiaro il disastro economico lasciato dall’ultimo governo peronista e chi c’è dietro la fulminante ascesa politica di Milei, il suo trionfo giunge non proprio inaspettato.
Partiamo dal primo fattore, diciamo “politico”, che ha determinato quello che a dire di molti cosiddetti esperti di politica internazionale è stato un “sorprendente” risultato elettorale. Dopo quattro anni al potere, il governo uscente “guidato” dal presidente Alberto Fernandez e dalla vice Cristina Kirchner, di cui Sergio Massa è stato, nell’ultimo anno e mezzo, il plenipotenziario ministro dell’economia (di fatto, il vero capo del fu Frente de Todos, poi ribattezzato per le elezioni Unión por la Patria), ha lasciato in eredita al paese andino un’inflazione annuale del 142% e un 45% di povertà. Basterebbero questi numeri a spiegare la debacle di Massa, il quale per tutto il tempo che è stato al capo delle finanze argentine non ne ha indovinata una, acuendo ancora di più la crisi economica in cui affoga la nazione sudamericana dal almeno un decennio. Ciò ha portato la maggioranza della popolazione, spinta da un’insofferenza oramai profonda verso il corrotto sistema clientelare peronista-kirchnerista, a intraprendere, attraverso il voto, un radicale cambiamento politico.
La vittoria di Milei, dunque, non è per nulla sorprendente, soprattutto se si tiene in conto che l’altra alternativa al peronismo-kirchnerismo era Juntos por el Cambio, la coalizione conservatrice guidata apparentemente dalla tutt’altro che carismatica Patricia Bulrich, ma dietro la quale si celava l’ombra dell’ex presidente Mauricio Macri, la cui esperienza di governo è stata fallimentare almeno quanto quella del trio Fernandez-Kirchner-Massa.
Del resto, Javier Milei, quest’economista nato cinquantatré anni fa nell’elegante quartiere portegno di Palermo, già prima della campagna elettorale, iniziata con le primarie di agosto (il cosiddetto PASO: Primarias Abiertas, Simultáneas y Obligatorias), era tutt’altro che un outsider della politica.
Colui che si è autoproclamato «il difensore delle libertà degli argentini contro l’oppressione e la corruzione della casta politica» è tutt’altro che un nemico del potere. La sua ascesa, come economista e opinionista televisivo prima e politico poi, ha poco a che fare con il suo genio: Milei, fin dagli esordi come consulente finanziario, è stato sempre a libro paga delle lobby nazionali ed estere. Il neoeletto presidente argentino è soltanto l’ennesima creatura della élite mondiale: il nuovo esperimento politico partorito dalle diaboliche menti di Klaus Schwab e dei suoi soci del World Economic Forum, in primis, quelli argentini.
Javier Gerardo Milei, figlio di Noberto Horacio Milei, un autista di autobus poi diventato “misteriosamente” impresario del trasporto pubblico, e dell’eccentrica Alicia Luján Lucich, nonché fratello maggiore dell’altrettanto stravagante Karina, con la quale tuttora conserva una relazione molto stretta al punto da nominarla capo della segreteria generale della Presidenza, studiò economia presso la Universidad de Belgrano, ente educativo privato situato nel cuore della capitale, dove si laureò nel 1993.
Già durante gli anni dell’università, questo sedicente anarco-liberale, a suo dire nemico acerrimo dello stato, ottenne il suo primo impiego pubblico: nel corso dell’ultimo anno gli fu infatti accordato un tirocinio retribuito presso il Banco Central de la Republica Argentina, lo stesso ente statale che in campagna elettorale ha promesso di abolire, o per essere più precisi, di «voler far saltare per aria». Stando a quanto sostenuto dal giornalista argentino Fernando Bercovich, sembra che già allora Milei lo avversasse così tanto, che alla scadenza del suo contratto non avesse alcun intenzione di lasciare quell’incarico, ma aspirasse ad essere assunto a tempo indeterminato (cioè al “posto fisso”, come si dice dalle nostre parti) e a far carriera presso il Banco Central. Tuttavia, pare che, nonostante l’ “appoggio” di un alto dirigente interno, il giovane economista fosse stato scartato per la sua totale ignoranza della lingua inglese.
Comunque, il neolaureato Milei non rimase disoccupato per molto: l’anno successivo ottenne il suo secondo impiego, ovviamente, sempre statale. Nel 1994 fu assunto infatti come consulente dal genocida Antonio Domingo Bussi, che era stato appena eletto deputato dell’assemblea costituente. Il suo nuovo datore di lavoro era stato uno de più crudeli ufficiali dell’ultima dittatura argentina. Quando nel marzo del 1976 si insediò la funesta giunta militare guidata da Jorge Rafael Videla, la quale avrebbe inaugurato la tappa più buia della storia argentina, il curriculum del generale Bussi era già macchiato di sangue. Nel ’75, su disposizione dell’esecutivo “guidato” da Isabelita Perón, quest’ufficiale aveva infatti comandato l’ “Operazione Indipendenza”, il cui scopo era quello di neutralizzare le azioni sovversive dei guerriglieri del E.R.P. (Ejército Revolucionario del Pueblo) e dei Montoneros nella provincia di Tucumán. Durante tale operativo Bussi si rese responsabile del sequestro, la tortura, l’omicidio e la sparizione di almeno ottocento persone, la metà delle quali costituita da innocenti che nulla avevano a che fare con il terrorismo. Con l’avvento della dittatura tale zelo fu premiato con la nomina a governatore della provincia, grazie alla quale Bussi poté moltiplicare il suo patrimonio attraverso l’estorsione e il furto delle proprietà di impresari e commercianti locali falsamente accusati di appartenere alla guerriglia.
Questo è l’uomo per il quale lavorò Javier Milei e per il quale ebbe sempre ammirazione, anche quando, sul finire degli anni novanta, i suoi crimini divennero noti all’opinione pubblica. Ma non è tutto: in quegli anni strinse una forte amicizia con Riccardo Bussi, figlio del genocida, ma soprattutto noto omofobo e filo nazista, che tutt’ora persiste, tanto che alle ultime elezioni lo ha candidato come governatore della provincia Tucumán per la sua lista.
Alle elezioni del 1995 Bussi padre sconfisse il peronismo e tornò ad essere Governatore di Tucumán, ma necessitava di assistenti fidati per realizzare investimenti anche a Buenos Aires e, quindi, decise che fosse giunto il momento che il suo giovane collaboratore tornasse nella capitale. Qui, Milei portò a termine due master universitari e venne poi assunto come economista senior dall’istituto di credito HSBC (Hongkong and Shanghai Banking Corporation). Nel 2003 passò poi a lavorare per America, un fondo pensionistico privato, di cui era azionista la stessa HSBC, e qui conobbe l’economista Diego Giacomini, che, mediante le proprie conoscenze in ambito accademico, fece pubblicare alcuni suoi articoli e lo aiutò a conseguire un posto come professor associato presso l’Università pubblica di Buenos Aires e la gesuita USAL (Universidad del Salvador). Giacomini fu anche colui che instradò Milei, il quale fino ad allora si definiva un neoclassico, verso le teorie della cosiddetta scuola austriaca e i principi dell’anarco-capitalismo, di cui qualche anno più tardi si autodefinirà un fervente sostenitore, ma che ha poi rinnegato, come vedremo, già con i primi atti governativi una volta divenuto Presidente.
Ma la vera svolta nella sua vita professionale avvenne nel 2008, quando iniziò a lavorare per la CAI (Corporación América International), una holding fondata dall’imprenditore argentino di origini armene Eduardo Eurnekian, il demiurgo del Milei “mediatico” e “politico”. Il novantenne Eurnekian, con il quale il neo Presidente argentino mantiene ancora oggi una relazione che si potrebbe definire paterno-filiale, figura tra i dieci uomini più ricchi d’Argentina, con un patrimonio stimato intorno a due miliardi di dollari. La sua società gestisce tutti gli aeroporti del paese andino e controlla una buona fetta del suo mercato energetico, agrario, tecnologico e mediatico: monopoli e oligopoli ottenuti grazie al “sostegno” reciproco di tutti i governi succedutisi negli ultimi trent’anni, da Carlos Menem a Eduardo Duhalde, da Nestor e Cristina Kirchner a Mauricio Macri, fino ad Alberto Fernandez. Il governo di quest’ultimo, ad esempio, tre mesi prima della scadenza del suo mandato, ha concesso ad una sua controllata, la Unitec Blue, specializzata nella fabbricazione di microchip, la produzione di passaporti, carte di identità, patenti e di altri documenti digitali rilasciati dallo Stato, fornendo di fatto ad un ente privato l’accesso illimitato alla privacy degli argentini.
Ovviamente questo inciucio costante tra Eurnekian e la corrotta classe politica argentina non è cessato con il neo governo di Javier Milei. Tra gli ex dipendenti dell’oligarca di origine armena che hanno lavorato per Corporación América e che attualmente fanno parte del gabinetto del neo presidente figurano Guillermo Francos, neo Ministro del Interior, Nicolás Posse, neo Jefe de Gabinete de los Ministros, e ovviamente, lo stesso Milei. Quest’ultimo durante gli anni in cui ha lavorato alle sue dipendenze non ha mai condannato quella che, in campagna elettorale, ha definito la “casta politica”, né tanto meno gli impresari, come le stesso Eurnekian, che la finanziano per accrescere disonestamente il loro potere economico.
Del resto, proprio l’impiego presso Corporación América, che, come accennato in precedenza, controlla anche alcune importanti radio e televisioni del paese, ha consentito a Milei di tessere altri influenti amicizie e di aprirsi le porte per nuove opportunità di lavoro. Una di queste fu, nel 2013, la collaborazione come esperto economista, insieme al suo amico e collega Giacomini, per la lista elettorale Frente Renovador, fondata dall’allora sindaco della cittadina del Tigre e candidato a deputato nazionale per la provincia di Buenos Aires, Sergio Massa, con il quale strinse una duratura amicizia che mantiene tutt’oggi, nonostante l’ostentata avversione mostrata nei suoi confronti nell’ultima farsesca campagna elettorale. Nel 2015, però, abbandonò il partito di Massa e con Guillermo Francos integrò la squadra di economisti della Fundación Acordar, il think tank dell’allora governatore bonaerense Daniel Scioli, candidato presidenziale per la lista Frente para la Victoria del governo uscente di Cristina Kirchner e attualmente Segretario del turismo, dell’ambiente e dello sport del suo governo.
Insomma, Milei lavorò, per ben tre anni, come consulente economico alla rielezione di coloro che, nella ultima campagna elettorale, ha definito gli «statalisti per eccellenza», la massima espressione della «casta ladrona», quella che deruba costantemente i cittadini con le tasse. Non solo, in quegli anni l’attuale mandatario difendeva apertamente le misure di controllo dell’economia di mercato imposte dall’allora Ministro de economia, Axel Kicillof, uno pseudo marxista che, per opportunismo politico, ha poi abbracciato il peronismo/kirchnerismo.
Ad ogni modo, fino al 2015 Milei continuò ad essere un anonimo impiegato di Corporación América prestato occasionalmente alla politica, ma sul finire dell’aprile di quell’anno un’apparizione televisiva in Hora Clave del giornalista Mariano Grondona gli cambiò la vita. Il programma veniva trasmesso in seconda serata su Canal 26: rete, guarda caso, appartenente al gruppo América TV, che fa capo oltre che ad Eurnekian, anche ad altri due lobbisti argentini: Daniel Vila e José Luis Mansano, a loro volta demiurghi e padroni del peronista Sergio Massa, il suo principale avversario alle ultime presidenziali, perché, sia chiaro, l’élite finanziaria ha sempre più di un asso nel suo mazzo su cui puntate quando si tratta di tutelare il proprio potere.
Tornando a Milei: tra il 2015 e il 2017 fu invitato sempre più spesso come consulente economico in altri talk show trasmessi sui canali del succitato gruppo: Animales sueltos del noto conduttore Alejandro Fantino, Pamela a la tarde della showgirl Pamela David, Polémica en el Bar diretto dal giornalista Mariano Iúdica, Buenos Días del giornalista Antonio Laje, e così, apparizione dopo apparizione, si trasformò in uno dei volti più noti del piccolo schermo.
Nel frattempo, dopo il trionfo alle presidenziali del 2015, la coalizione conservatrice Cambiemos si imponeva anche nelle elezioni di medio termine del 2017 e il governo di Mauricio Macri godeva del pieno consenso della maggioranza degli argentini, ma non di Javier Milei, che, anzi, in tutte le apparizioni televisive di quel periodo non perdeva occasione per attaccare lui e la sua politica. Sebbene oggi, per opportunismo politico, lo definisca un ex presidente rispettabile e lo consideri uno dei suoi più fidati consiglieri, in quegli anni il “pank dell’economia” (così lo soprannominarono i conduttori del programma televisivo A dos voces) attaccava costantemente Macri chiamandolo «un idiota socialista, bugiardo ed ipocrita». Tuttavia, è molto probabile che la sua ostilità verso quest’ultimo riflettesse più la volontà dei altri due suoi protettori, Daniel Vila e José Luis Mansano, di screditare l’allora presidente e soprattutto il suo capo di gabinetto, Marcos Peña, rei di non aver ceduto loro la gestione di parte della rete elettrica del paese e di avergli preferito l’amico e socio d’affari Nicolás Caputo e il magnate anglo-israeliano Joe Lowis, che una differente visione politica, il che sarebbe stato anche comprensibile, visto che il governo di Cambiemos, sebbene si fosse presentato come una coalizione liberale, non faceva che riproporre le stesse politiche assistenzialiste del governo precedente di Cristina Kirchner.
Comunque, in quel momento pochissimi intuirono che l’irruzione di Milei nel prime time non era per niente casuale, ma si trattava piuttosto di un’operazione politica orchestrata da Eurnekian e da quella fazione dell’oligarchia finanziaria avversa al governo di Macri.
Nel 2018 il sedicente libertario era già un fenomeno mediatico tanto da scrivere e recitare una propria opera di teatro, El consultorio de Milei, dove interpretava se stesso ed era affiancato, oltre che da gli attori Claudio Rico e Diego Sucalesca, anche dall’onnipresente sorella Karina. Lo show incassò più di un milione di pesos al botteghino e fu esportato a Miami, New York e in Spagna. Durante lo spettacolo Javier cantava un inno libertario al ritmo della Traviata di Verdi e distruggeva con un bastone una miniatura in cartone del Banco Central d’Argentina, da lui considerato il principale responsabile dell’inflazione cronica che soffre la nazione andina a causa della emissione incontrollata di pesos, sketch che avrebbe spesso replicato anche sul piccolo schermo durante le duecentotrentacinque interviste tenute solo quell’anno. Secondo la nota rivista Noticias, già allora Milei figurava tra le cento personalità più influenti del Paese.
Tra un’apparizione televisiva e l’altra il libertario ebbe anche tempo di partecipare ad una manifestazione nazionale organizzata dal potente sindacato dei camionisti diretto da Ugo Moyano: un personaggio nefasto, sulla cui attività sindacale/criminale si potrebbero consumare chilometri d’inchiostro. Moyano, che solo nel 2015 aveva applaudito all’elezione di Macri, aveva organizzato una grande marcia di protesta contro le sue politiche liberali, alla quale, ovviamente, non poteva mancare il liberale Milei… insomma, era tutto terribilmente (in)coerente.
Ad ogni modo, le sue performance pubbliche, televisive e teatrali attirarono l’attenzione della Friedrich-Naumann-Stiftung, una fondazione politica molto vicina al FDP, il Partito Democratico Liberale tedesco, che iniziò a finanziare le sue conferenze e pubblicazioni. Ovviamente, il fatto in se non costituirebbe nulla di scandaloso, se non fosse che questa presunta organizzazione senza scopo di lucro è nota per tendere a infettare ogni nascente movimento politico liberale che sostiene economicamente con lo scopo di favorire gli interessi governativi e corporativi della Germania.
Dunque, anche le élite straniere iniziavano a guardare con favore al “fenomeno Milei” intuendo che la sua appassionata battaglia contro la cosiddetta “casta politica” avrebbe potuto essere sfruttata per ampliare ancora di più i loro affari in Argentina. E fu proprio l’intreccio degli interessi economici dei suoi finanziatori locali e stranieri a determinare il passaggio di Milei da fenomeno mediatico a fenomeno politico.
Alle elezioni presidenziali del 2019 Eurnekian e soci, incluso quelli stranieri, per impedire la rielezione di Macri non solo assicurarono alla coalizione peronista guidata dal duo Alberto Fernandez e Cristina Kirchner l’alleanza del Frente Renovador di Sergio Massa, ma le garantirono anche il sostegno mediatico del loro giullare, Milei, il quale, durante tutta la campagna elettorale e anche appena dopo la sua elezione, ad ogni intervista o programma a cui partecipava esaltava l’intelligenza e il pragmatismo del candidato del Frente de Todos. Inoltre, per sottrarre voti alla coalizione di centro-destra Juntos por el Cambio dal suo stesso bacino elettorale, la Fundación Naumann decise di sostenere economicamente il candidato liberale Jose Luis Espert del Frente Despertar. Il giorno del voto, il 27 ottobre 2019, in cui trionfò Alberto Fernandez, Espert ottenne meno del 2% dei voti, ma bastò per contribuire alla sconfitta di Mauricio Macri già al primo turno e ad evitare così l’incognita del ballottaggio, che, come visto, era stato favorevole a quest’ultimo già nelle presidenziali del 2015.
Ma il compito di Espert, che nel frattempo era al centro di uno scandalo per la sua amicizia con il noto narcotrafficante Fred Machado, il quale non solo aveva contribuito finanziariamente alla sua campagna elettorale, ma gli aveva anche messo a disposizione il proprio aereo privato per i suoi spostamenti nel paese, non si era concluso con l’elezione di Alberto: il Frente Despertar era stato designato dalla élite finanziaria quale trampolino di lancio per la carriera politica di Javier Milei. Fu proprio il magnate armeno-argentino, alla cui porta Espert aveva bussato per ottenere sostegno finanziario per il suo movimento politico, a pretendere che vi includesse anche Milei in vista delle elezioni di medio termine che si sarebbero tenute nel novembre del 2021. Così, al principio del 2020, Espert, il quale non aveva mai avuto molta simpatia per l’opinionista televisivo, fu costretto a proporgli la candidatura, ma Milei gli chiese di concedergli qualche mese prima di prendere una decisione definitiva.
Nel frattempo, il mondo e con esso anche l’Argentina era stato travolto dall’emergenza sanitaria globale proclamata dall’OMS di Bill Gates per far fronte ad una pseudo pandemia da SARS-CoV-2 e, ovviamente, la risposta del nuovo esecutivo non fu differente dalla stragrande maggioranza degli altri governi assoggettati alle follie di Karl Schwab e dei suoi soci del World Economic Forum: il 20 marzo del 2020 Alberto Fernandez proclamava l’encierro masivo, vale a dire la quarantena obbligatoria per tutta la popolazione argentina. Anche in quella occasione l’anarco-liberale Milei applaudì pubblicamente al decreto nefasto e liberticida del neo presidente e giustificò, come un atto morale, l’arresto e l’incarceramento di chi lo trasgrediva.
Nonostante l’emergenza sanitaria globale, il 2020 fu un anno pieno di cambiamenti per Milei. Dopo aver trascorso più di dieci anni senza aver con essi alcun tipo di relazione, grazie all’intercessione della sorella Karina, Javier tornò a riconciliarsi con i propri genitori e durante il lockdown, che in Argentina fu il più lungo del mondo, l’economista si trasferì nel loro lussuoso apparentamento di Vicente López, una zona residenziale a nord di Buenos Aires. Stando alle sue dichiarazioni, la riappacificazione con i genitori voleva essere un atto di generosità verso i due anziani in un momento storico così complicato, ma stando alle registrazioni audio emerse successivamente e riportate da alcuni media argentini sembra che, in previsione di una sua imminente candidatura politica, Milei avesse già pianificato di servirsi della offshore di famiglia con sede legale a Miami, la Alkary Investments LLC, di cui è direttrice la sorella, per riciclare il denaro illecito donatogli in campagna elettorale ed evadere il fisco argentino. Del resto, fu proprio durante i mesi del lockdown trascorsi nell’appartamento con vista sul Rio de la Plata che l’economista maturo la decisione di accettare la proposta di Espert.
Così, proprio colui che fino a qualche mese prima, nelle sue interviste, aveva denunciato la natura delittuosa dello stato, lo stesso sedicente anarchico che nei media aveva definito l’agone politico una grande menzogna e i suoi concorrenti dei ladri e mafiosi, adesso decideva di entrar a far parte di quella stessa farandula (farsa). Come sua consigliera per la campagna elettorale scelse sua sorella Karina, la quale, stando a quanto da lui stesso dichiarato, oltre ad essere l’ideologa della sua immagine da rockstar, gli fa anche da sensitiva e da guida politica. La sua devozione verso la sorella infatti è tale che l’ha definita il suo Mosè, mentre lui, Milei, non sarebbe altro che un Aronne, ovvero, un semplice divulgatore delle “rivoluzionarie” idee di Karina.
Una volta ufficializzata la sua candidatura, il sedicente libertario assunse posizioni tutt’altro che liberali: nel marzo del 2021, ossia nel secondo anno di farsa pandemica, criticò il governo di Alberto Fernandez per non testare la popolazione porta a porta e dichiarò che gli argentini dovevano obbligatoriamente sottoporsi alla “vaccino” anti-Covid19 perché era il presupposto fondamentale per uscire dall’emergenza sanitaria e riavviare l’economia del paese. In altri termini, la sua vocazione globalista e tecnocratica era già abbastanza evidente nonostante i suoi maldestri sforzi per apparire una sorta di Trump argentino. Del resto, Milei ha sempre parlato più che positivamente del trans-umanesimo a cui aspirano i signori del Foro Economico Mondiale, di cui, sia detto per inciso, il neo mandatario argentino è membro almeno dal 2014, così come ha sempre condiviso i deliri del suo principale ideologo, il filosofo israeliano Yuval Noah Harari.
Tuttavia, se ci fossero ancora dubbi sul suo profilo globalista, basta leggere il programma elettorale dell’allora Avanza Libertad, poi ribattezzata La Libertad Avanza, per rendersi conto che, al di là delle dichiarazioni di facciata, Javier Milei è tra i principali sostenitori del nazi-ecologismo e della cultura transengeder propugnati dalla Agenda 2030.
Va detto però che la scelta di correre in alleanza con l’altro “liberale” Espert non si rivelò azzeccata: nel marzo del 2021, infatti, il Tribunale Penale Numero 8 del Foro Federale emanò un avviso di garanzia nei confronti del suo socio per aver accettato, nella campagna elettorale del 2019, appoggio finanziario dal succitato narcotrafficante Federico Machado. Molti dei suoi collaboratori furono inclusi nelle indagini, tra cui lo stesso Milei, il quale si affrettò a dichiarare che egli era estraneo alla faccenda e che lo stesso Espert era all’oscuro dell’origine illecita di quei fondi.
Ad ogni modo, l’alleanza tra Milei ed Espert durò meno di un sospiro. Le rottura tra i due maturò quando quest’ultimo, che aveva già un accordo politico con l’allora governatore della capitale Horacio Rodrígues Larreta in vista delle presidenziali del 2023, gli chiese di rinunciare alla candidatura a deputato in cambio di trecentomila dollari. L’esponente di Junto por el Cambio temeva il successo crescente di Milei nella città di Buenos Aires e che il libertario potesse convertirsi in un ostico avversario per le corsa alla Casa Rosada. Milei, ovviamente, non la prese bene: decise quindi di lasciare il partito di Espert per fondarne uno proprio, La Libertad Avanza appunto. Nel frattempo, aveva iniziato a dialogare con Mauricio Macri, il vero padrone di Junto por el Cambio, in vista di un appoggio elettorale: l’ex presidente già non era più un “idiota socialista”, come l’aveva definito qualche anno prima, ma un prezioso alleato per la sua ascesa politica.
Milei aveva dunque deciso di indossare i panni del “pragmatico” e di trasformare il suo partito in quello che in spagnolo si direbbe un sello de goma, un “piatto vuoto” insomma: né più né meno che un contenitore elettorale disponibile al miglior offerente. Tra tra le file de La Libertad Avanza furono infatti accolti personaggi tra i più bizzarri e loschi, come il santafesino José Alejandro Bonacci, fondatore del partito neo-nazista Unite e lo youtuber, nonché direttore dell’impresa di famiglia Bull Market Group, Ramiro Marra, il quale era già stato candidato di Consenso Federal, la forza politica che nel 2019 aveva appoggiato come candidato alle presidenziali il peronista Roberto Lavagna. Marra è a tutt’oggi uno dei più convinti sostenitori di una misura liberticida quale l’imposizione statale della moneta digitale, vale a dire del modello cinese di controllo sociale patrocinato dal Forum Economico Mondiale di Davos.
Ma l’acquisto più sconcertante della neonata lista di Milei fu senza dubbio l’incorporazione dell’avvocato bonaerense Victoria Villaruel. Prima di entrare in politica, l’attuale vice presidente lavorava per la Asociación Unidad Argentina (Aunar), offrendo assistenza legale ai familiari delle vittime del terrorismo montonero e dell’ERP (Ejército Revolucionario del Pueblo), che esigevano per gli autori degli attentati che insanguinarono l’Argentina tra il 1974 e il 1976 lo stesso rigore giuridico applicato nei confronti dei carnefici della dittatura militare insediatasi negli anni immediatamente successivi. L’iniziativa sembrava lodevole: Villaruel chiedeva infatti il riconoscimento di una parte della storia argentina che l’egemonia progressista/kirchnerista voleva obliare; con il tempo, però, si è rivelata un personaggio alquanto sordido.
L’attuale vicepresidente nasce infatti da una famiglia “macchiata di sangue” e dalla quale non ha alcuna intenzione di prende le distanze. Suo padre, Eduardo Villaruel, nel ’75 partecipò come ufficiale dell’esercito alla succitato massacro attuato nella provincia di Tucumán, l’ “Operazione Indipendenza”, diretta dal genocida Antonio Domingo Bussi, uno degli ex datori di lavoro del suo socio politico Milei, e successivamente prestò servizio nella stessa provincia collaborando con il regime repressore e sanguinario. Fu poi trasferito nella provincia di Buenos Aires, precisamente a Campo de Mayo, la principale guarnigione militare del paese, dove erano presenti almeno quattro centri di detenzione clandestini, nei quali venivano torturate mortalmente donne incinte e i loro figli, appena nati, affidati a militari che non potevano averne. Eduardo Villaruel morì nel 2021, senza mai essere investigato per la sua partecipazione alle nefandezze della dittatura.
Differente fu la sorte di suo cugino, Ernesto Villaruel, zio di Victoria, uno dei comandanti del centro di detenzione clandestino “El Vesubio”, che fu processato per violenze e torture e condannato alla prigione nel 2015.
L’attuale vicepresidente non ha mai condannato la partecipazione dello zio, né tanto meno del padre, ai crimini della dittatura, anzi, ne è una fanatica sostenitrice. Fino al 2008, infatti, la Villaruel organizzò incontri con l’ex dittatore Jorge Rafael Videla quando costui si trovava agli arresti domiciliari in seguito alla condanna per genocidio. Durante queste visite Victoria era solita farsi accompagnare da decine di giovani, come lei ammiratori del genocida. Ma le sue imbarazzanti frequentazioni includevano anche altri criminali complici della giunta militare del ’76, come l’ex commissario Miguel Etchecolatz, uno dei peggiori torturatori della polizia bonaerense, un vero e proprio mostro, al quale, oltre al proprio sostegno personale, offrì più volte assistenza legale durante il processo che lo vedeva imputato per sequestro, tortura, omicidio e furto di neonati, poi conclusosi, nel 2006, con la condanna all’ergastolo. Inoltre, fu a visitare più volte in carcere altri due protagonisti degli anni più bui della storia argentina: Noberto Cozzani, braccio destro di Etchecolatz, e Alberto González, efferato torturatore ai tempi della ESMA, il principale centro di detenzione clandestino della capitale.
Questa sorta di “dama di ferro” in salsa argentina conobbe Javier Milei al principio del 2021 e fu per lui la porta d’accesso alla destra internazionale, in quanto vincolata con una società segreta messicana, El Yunque, che ha finanziato la nascita di partiti neo-falangisti come Vox in Spagna e il Partido Republicano del Cile. Entrambi i libertari, Milei e Villaruel, si vantano di essere amici di Santiago Abascal, presidente di Vox, perché, come ama ripetere il leone bonaerense, sempre si troverà a proprio agio tra gli amanti della libertà. Peccato che Vox non si ispiri per nulla al liberalismo tanto in ambito politico come in quello economico, ma sia dichiaratamente filo-franchista.
Alle elezioni di medio termine del novembre del 2021 la nuova formazione politica guidata da Milei e Villaruel ottenne, nel distretto elettorale delle capitale, un sorprendente 17% dei voti, espressione soprattutto dell’elettorato più giovane, assicurandosi così due seggi nella Camera dei Deputati e cinque nella legislatura portegna. L’ex opinionista televisivo si stava convertendo rapidamente nella star di una gioventù sempre più orientata a destra perché stufa del totalitarismo progre che asfissiava la quasi totalità delle scuole e università del paese andino: una goccia d’acqua nel deserto della politica argentina, paralizzata da vent’anni di infruttuosa lotta tra kirchneristi e anti-kirchneristi, e per questo di una monotonia non più tollerabile. Così, anche in virtù dell’esito di sondaggi successivi che ne evidenziavano la popolarità crescente, Milei si convinse di poter tentare il colpaccio: candidarsi e vincere le presidenziali del 2023.
Per realizzare il suo obiettivo, al principio del 2022, questo pseudo anarco-liberale iniziò a imbarcare nella propria lista il peggio della casta politica argentina. Oltre al già citato Riccardo Bussi, figlio del genocida Antonio Domingo Bussi, a cui, come detto, offrì la candidatura a governatore della provincia di Tucumán, vanno almeno menzionati: per la provincia di Rio Negro, l’ex deputato kirshnerista Ariel Rivero; per la presidenza della provincia di Neuquén il designato fu Carlos Eguia, già candidato nel 2012 della Coalición Cívica, movimento politico guidato dall’ex senatrice Lilita Carrió, che Milei considera una pericolosa socialista; per la provincia de La Rioja fu scelto Martín Menem, nipote del defunto ex presidente peronista Carlos Menem, il quale, in seguito al trionfante ballottaggio presidenziale dello scorso novembre, è stato poi eletto Presidente della Camera; per la provincia di San Juan fu reclutata la ex deputata radicale Nancy Alfín, un alfonsinista di ferro; come candidata a deputata per la provincia di Buenos Aires fu invece assoldata la kirshnerista Sabrina Sabat, una funzionaria del assessorato al trasporto guidato da Rodolfo D’Onofrio, un fedelissimo di Sergio Massa; infine, per il distretto elettorale della capitale, fu candidato come senatore il banchiere Juan Napoli, altro intimo amico di Massa. Insomma, anche La Libertad Avanza iniziava ad apparire per ciò che realmente era: l’ennesima colonia per mercenari in cerca di poltrone. In effetti, già sul finire del 2022 girava tra gli amministratori locali di ogni colore ed estrazione politica una sorta di prezzario con indicato, per ciascun distretto del cosiddetto conurbano (la provincia di Buenos Aires), il costo di un’eventuale candidatura nella lista di Milei.
Forse l’unico “liberale” tra le sue fila di cui poteva e può fare sfoggio era Alberto Benegas Lynch, che però, in cambio del suo sostegno alla campagna elettorale, gli impose la candidatura a deputato di suo figlio Bertie. Attualmente neo deputato de La Libertad Avanza, Alberto Junior è stato per dieci anni ex consulente del Gruppo Santader, uno dei più potenti istituti di credito al mondo, la cui presidentessa, Ana Botín, fa parte del consiglio direttivo del Club Bilderberg e del Word Economic Forum. Fu questa potente dama a “chiedere” ad Alberto Fernandez a fine 2019, quando ancora stava formando il suo gabinetto, di scegliere come suo ministro dell’economia il giovane Martín Guzmán, pupillo di uno dei principali azionisti del Santander, ossia, George Soros.
Restando in tema di lenocinio politico, sempre nel 2022 Milei ingaggiò come responsabile della comunicazione digitale della La Libertad Avanza un altro losco individuo: si tratta di Fernando Cerimedo, proprietario della Numen Publicidad y Sondeos. Questo pubblicista, con alle spalle una condanna a due anni e sei mesi per truffa, nel 2019 aveva organizzato la campagna digitale del kirchnerismo nel suo principale bastione elettorale: la Matanza, uno dei distretti più grandi e popolosi della provincia di Buenos Aires. Aveva poi assistito il governo progressista cileno nella campagna mediatica per il referendum costituzionale e l’ex presidente brasiliano, l’ultra conservatore Jair Bolsonaro, in quella per le presidenziali, entrambe rivelatesi poi fallimentari. Cerimedo influenzò fortemente la strategia comunicativa di Milei, il quale iniziò ad adottare un linguaggio sempre più conservatore e sempre meno liberale.
Tuttavia, la sua più stramba scelta in vista della campagna per le presidenziali fu senza dubbio la candidatura della sua estetista e parrucchiera, nonché amante, Lilia Lemoine, poi eletta deputata nazionale per la provincia di Buenos Aires. Prima di lanciarsi in politica, la signora Lemoine si dilettava come influencer: in internet è ancora possibile trovare qualche video in cui tenta goffamente di convincere i suoi seguitori che la Terra è piatta. Inoltre, è una nota truffatrice, una sorta di Vanna Marchi argentina: prima di diventare deputata, infatti, la Lemoine pubblicizzava, attraverso la rete sociale, un costosissimo trattamento oftalmologico per il mutamento del colore degli occhi che ha causato gravi danni in molti di suoi acquirenti, in alcuni casi riducendoli addirittura alla cecità.
Tuttavia, anche dopo aver armato questo grande circo, il 2023 non iniziò nel migliore dei modi per Milei. La Libertad Avanza era uscita alquanto malconcia dalle elezioni provinciale d’inizio anno: i suoi candidati non erano riusciti ad andare oltre un misero 7%, fatta eccezione per la provincia de La Rioja, e i media già parlavano di un’imminente implosione della forza politica.
Ma a luglio, quando mancava poco più di un mese alle primarie e sembrava che la sua candidatura fosse destinata al fallimento, Milei sorprese l’opinione pubblica e i media con un rapido e misterioso viaggio a New York, accompagnato solo dalla sorella Karina. Obbiettivo del brevissimo soggiorno? Visitare la tomba del rabbino Menachem Mendel Schneerson, più conosciuto come Il Rebbe, ultimo leader dell’organizzazione chassidico-cabalistica Chabad Lubavitch, movimento ebraico, fondato nel XVIII secolo dal russo Shneur Zalman di Liadi, che ha avuto sette capi religiosi, chiamati appunto rebbe. Nel 1941 Mendel Schneerson, insieme con la moglie, lasciò l’Europa, sempre più stretta nella morsa del nazismo, e raggiunse suo suocero Yosef Yitzchok Schneersohn, sesto rebbe del Chabad Lubavitch, che viveva a New York, nel quartiere di Brooklyn. Al 770 di Crown Heights, l’intera famiglia riunì intorno a sé una comunità di profughi europei di religione ebraica tra cui un giovanissimo Henry Kissinger. Nel 1950, la morte del suocero convertì Mendel nel settimo rebbe del Chabad. Pian piano il nuovo leader, appoggiato da una influente confraternita di banchieri, fece risorgere dalle ceneri questo movimento quasi estinto, trasformandolo in una delle più potenti holding religiose del mondo, con una rete internazionale che a tutt’oggi conta più di cinquemila centri educativi e sociali. Tra i suoi ammiratori Il Rebbe vantava molti politici e leader del pianeta, incluso alcuni presidenti statunitensi come John Fitzgerald Kennedy, Jimmy Carter, Ronlad Reagan e Bill Clinton. Nel 1985 affermò che l’ideologia del Chabad prediceva che il settimo rebbe, ovvero lui stesso, fosse il Messia e la maggioranza dei suoi adepti gli crebbe. Per questo motivo non nominò mai un suo successore e quando nel 1994 morì non fu eletto un ottavo rebbe. L’unica ragione per la quale, nonostante la dipartita di Schneerson, il movimento Chabad continua ad esistere è l’enorme flusso di denaro di cui dispone: una rete multimilionaria presente in molteplici paesi e dedita al riciclaggio, ma anche, come emerso da recenti notizie di cronaca, al traffico di organi e di minori.
Tornato in Argentina, dopo aver visitato la sinagoga newyorkese e conversato con i capi del Chabad, Milei esternò il suo desiderio di convertirsi all’ebraismo e in campagna elettorale promise reiteratamente che, se eletto, sarebbe stato il primo presidente ebreo nella storia del paese andino e che, come Trump, avrebbe spostato l’ambasciata argentina d’Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Ma qual è il reale obiettivo di questa annunciata “conversione”? Milei mira al sostegno politico e finanziario del sionismo internazionale, che in Argentina è molto potente – basti pensare che controlla la quasi totalità dei media – e vanta personaggi di spicco come Eduardo Elsztain, famoso imprenditore e banchiere argentino, amico di George Soros, nonché principale latifondista del paese andino e tesoriere del World Jewish Congress (Congresso Ebraico Mondiale). D’altro canto, questi primi mesi della sua presidenza stanno confermando quanto appena affermato: il secondo viaggio all’estero del neo presidente Milei, dopo la partecipazione del scorso 19 gennaio al Foro Economico Mondiale di Davos, è stato infatti a Israele (6 febbraio), dove ha ribadito la sua intenzione di trasferire l’ambasciata argentina a Gerusalemme e, ovviamente, tutto il sostegno del suo governo all’ennesima strage di civili palestinesi perpetrata da mesi dalle forze israeliane in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso.
Ma torniamo alla cronaca della sua ascesa alla presidenza argentina. Il 13 agosto del 2023, Milei trionfava al già citato PASO – le primarie in cui si scelgono i candidati delle presidenziali di ogni schieramento – con il 30% delle preferenze, davanti al peronista Sergio Massa (21%) della coalizione Union por la Patria (Up) e a Patricia Bullrich (17%) di Junto por el Cambio (JxC). In seguito a quel trionfo diciamo inatteso, i media e la stampa propagandistica iniziarono subito ad esaltare la sua immagine, paragonando il suo percorso politico a quello di Nestor Kirchner, politico che nel 2003 emerse da un paese in rovina e sulla scia del canto collettivo “Que se vayan todos!”.
Il sedicente libertario già non era più el loco (il folle) con i capelli arruffati che vantava un buon rating televisivo, né il leader di un partito politico senza struttura, ma la marionetta che l’oligarchia argentina stava vendendo al popolo argentino come un nuovo “messia” venuto a salvarlo dall’ennesima catastrofe economica. Non è un caso che l’unico avversario politico a congratularsi con lui per il risultato ottenuto in quella domenica di inizio agosto fosse il fondatore di Propuesta Republicana (PRO), il partito conservatore che insieme all’Unión Civica Radical forma la coalizione di centro destra JxC, ovvero, l’ex presidente Mauricio Macri, esponente di spicco del corporativismo argentino e attualmente principale alleato nel Congresso del neo presidente Milei. Ovviamente, il libertario lo ringraziò pubblicamente, sottolineando che Macri sarebbe stato un ottimo ambasciatore nel mondo di un suo futuro governo.
Ma nelle settimane seguite al trionfo alle primarie Milei non si limitò ad assicurarsi il sostegno di uno dei due blocchi avversari in caso di un eventuale ballottaggio: fiutando l’odore di un possibile trionfo, il candidato de La Libertad Avanza si era già messo alla ricerca dei candidati di un suo futuro governo, e anche in questo caso la selezione non si spinse più in là della vecchia casta di politicanti argentini asservita agli oligarchi locali e stranieri come Eduardo Eurnekian e George Soros. Per la carica di Ministro degli Interni la scelta cadde sul già citato Guillermo Francos, impiegato del magnate armeno da almeno vent’anni e ultra kirchnerista dichiarato. Per unirsi all’equipe di Milei, Francos dovette infatti rinunciare al ruolo, al quale era stato nominato dal presidente uscente Alberto Fernandez, di rappresentante dell’Argentina presso la Banca Interamericana di Sviluppo. Come futuro Ministro della Giustizia Milei convocò Mariano Cuneo Libarona, l’avvocato preferito di Eurnekian, e per il ruolo di Capo di gabinetto optò, come già accennato, per una sua vecchia conoscenza: Nicolás Posse, direttore generale della Sezione Sud di Aeropuertos Argentina 2000, una delle tante aziende controllate da Corporación América, la holding dell’armeno.
Tuttavia, una delle scelte più emblematiche e, soprattutto, rivelatrici della futura politica di un eventuale governo Milei fu quella relativa al suo principale consigliere economico, Dario Epstein, il quale, dopo il trionfo alla primarie, accompagnò il candidato libertario alla sua prima riunione con il Fondo Monetario Internazionale. Epstein fu già direttore della Comisión Cacional de Valores, un organismo statale preposto alla promozione e allo sviluppo dell’economia di mercato durante la presidenza di Menem e partecipò alla privatizzazione truccata e oligopolista di Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF), la principale compagnia energetica del paese andino. Ma Epstein è anche e soprattutto l’uomo forte di BlackRock in Argentina, ovvero, del maggior fondo di inversione del mondo, padrone, tra gli altri, di Bayer, Monsanto, Facebook, Apple, Microsoft, Philips, Sony, IBM, Visa, American Express, Western Union, PayPal, Amazon, e un lungo “eccetera”.
Il suo amministratore delegato, Larry Fink, ha avuto in questi anni un ruolo chiave nell’ideologizzazione progressista delle tantissime compagnie del pianeta che ad esso fanno capo, promuovendo il celebre modello ESG (ambientale, sociale e di governo), ovvero, una serie di linee guida permeate di ecologismo, ideologia di genere e statalismo. BlackRock esercita molta influenza anche sul Fondo Monetario Internazionale (FMI) e sui suoi paesi membri, inclusa l’Argentina ovviamente. Queste colosso finanziario, che va epurando le sue controllate da tutti direttivi e gli amministratori che si oppongono al panegirico del socialismo corporativo mondiale promosso da Larry Fink, è il principale creditore privato del paese andino, con titoli di debito che superano i due miliardi di dollari, e ha una rilevante partecipazione azionaria in YPF, Mercado libre (l’equivalente argentina di Amazon) e altre grandi e importanti imprese locali, tra cui le quattro principali banche argentine.
Ebbene, Milei, che proprio in quegli ultimi mesi di campagna elettorale attaccava ancora più duramente gli imprenditori locali, accusandoli (a ragione, questo va detto) di corporativismo grazie alla complicità di tutti i governi succedutisi negli ultimi cento anni della storia argentina, incluso i sedicenti “popolari”, nel contempo corteggiava quella che, ad oggi, è forse la società di investimenti più corporativista del pianeta. Infatti, dopo il suo trionfo alle primarie e la reazione non proprio felice dei mercati finanziari di fronte ad un’eventuale vittoria del libertario – la Borsa di Buenos Aires era in caduta libera in quei giorni – Epstein viaggiò negli Stati Uniti per incontrare i principali investitori di Wall Street, con i quali si riunì nella villa del finanziere Gerardo Mato, amico dell’ex presidente Mauricio Macri. Obbiettivo del viaggio era rassicurarli riguardo ad un eventuale trionfo di Milei, che, nel Congresso, avrebbe potuto contare su una maggioranza garantitagli proprio dall’ex mandatario e, sul piano sociale, con l’appoggio di una parte importante del sindacato. Del resto, sempre in agosto, lo stesso Milei fu invitato al Council of the Americas, un istituzione fondata da David Rockefeller nel 1963 per promuovere la sua agenda presso tutti i governi dell’America Latina, con lo scopo di tranquillizzare i grandi investitori statunitensi che avevano deciso di puntare su di lui per le presidenziali argentine.
Arriviamo così, in un clima economico alquanto incandescente per il paese andino e con un livello di inflazione che si aggirava intorno al 143%, al giorno delle elezioni ufficiali: il 22 ottobre del 2023. Nelle due settimane precedenti, precisamente il 9 ottobre, il libertario aveva contribuito ad incrementarla con alcune dichiarazione a Radio Mitre in cui, come economista, consigliava agli argentini di risparmiare in dollari, giacché i pesos erano già poco meno che escrementi (“spazzatura inutile” li definì Milei). Il giorno successivo la quotazione del cosiddetto dolár blue, cioè del dollaro statunitense venduto al mercato “illegale” a causa delle restrizioni statali all’acquisto di valuta estera, era superiore ai mille pesos, il che portò all’ennesimo e consistente aumento dei prezzi.
Molto probabilmente l’intenzione di Milei era di confermare, in caso di elezione, la sua intenzione di dollarizzare il paese, dal momento che la stragrande maggioranza degli argentini, da sempre, pensano e risparmiano in valuta statunitense; ma le sue affermazioni si rivelarono un incauto assist per il suo principale avversario, l’allora Ministro dell’Economia Sergio Massa, il quale, sebbene il principale responsabile della disastrosa situazione economica in cui versava il paese, colse l’occasione per accusare il libertario di essere politicamente sventato e dichiarò che, in quanto rappresentante del governo argentino e quindi degli interessi dei sui concittadini, avrebbe perseguito penalmente tutti gli speculatori finanzieri.
La maggioranza dell’elettorato sembrò apprezzare la dichiarazione d’intenti del ministro: quella domenica del 22 ottobre 2023 fu infatti il candidato peronista ad imporsi su tutti gli altri candidati, incluso lo stesso Milei, anche se, come detto al principio di questa cronaca, non in maniera tale da poter chiudere subito la partita. È ovvio che non furono le pur intempestive dichiarazioni del libertario a garantire all’allora ministro il primo round nella disputa elettorale: quel parziale trionfo – una sorta di “vittoria di Pirro”, fu soprattutto il frutto del sistema clientelare che caratterizza la strategia politica del peronismo fin dalla sua origine.
Ma come si dice dalle nostre parti: i peronisti avevano fatto i conti senza l’oste. E nel caso dell’Argentina gli “osti” erano due: una maggioranza di cittadini, appartenenti anche ai ceti più poveri, stufa del loro pseudo progressismo fatto di assistenzialismo, indottrinamento e culto di Perón e Nestor Kirchner, e i principali rappresentanti della finanza globale, i quali avevano deciso di puntare sul candidato che, in questo momento storico, risulta più funzionale al loro piano di saccheggio di quanto ancora gli resta di accaparrarsi dell’Argentina. Tra essi spiccano Carlos Slim, il magnate messicano delle telecomunicazione, fino a qualche anno fa l’uomo più ricco del mondo, il quale, puntando concretamente su Milei attraverso cospicui contributi alla sua campagna elettorale mediante la Fundación Atlas, mira a contendere al Grupo Clarín, l’impresa mediale più grande del paese diretta dall’oligarca Hector Magnetto, il controllo della rete 5G argentina, ed il multimilionario statunitense Elon Musk, proprietario della società automobilistica Tesla e del social network X (alias Twitter), che brama la riserva di litio (una delle più grandi al mondo) situata nel nord del paese andino.
Pertanto, al ballottaggio dello scorso 19 novembre, con sorpresa solo degli idioti, o come si dice in Argentina, dei boludos che ancora non hanno compreso o non vogliono vedere le vere dinamiche del potere, fu il sedicente anarco-liberale Milei ad imporsi sul peronista Massa: l’élite globale poteva dare inizio al suo nuovo esperimento politico.
Sono passati poco più di sei mese da quella data, ma la stragrande maggioranza degli argentini sta già provando sulla propria pelle gli effetti catastrofici dell’ennesima trappola tesagli dai veri padroni del mondo.
Nonostante le dichiarazione d’intenti del 10 dicembre scorso, giorno dell’investitura ufficiale di Javier Milei come presidente, quando costui affermò che i sacrifici imposti dal suo governo li avrebbe pagati la “casta”, la situazione economica argentina è già più che catastrofica, il che è tutto un dire se si pensa alla pessima situazione lasciata da Alberto Fernandez e dal suo plenipotenziario ministro dell’economia Sergio Massa. In poco più di cento giorni di governo “liberale” l’inflazione ha già superato il 70% e il livello di povertà è aumentato di altri dieci punti, toccando il 55%; il prodotto interno lordo è calato del 20% e in alcuni settori strategici, come quello edilizio, è addirittura sceso del 30%; inoltre, l’aumento delle tariffe e del trasporto pubblico oscilla tra il 300 e il 400%.
Sul piano strettamente politico, poi, l’iniziativa di Milei è ancora più sconcertante. Il sedicente anarco-liberale si sta dimostrando tutt’altro che tale: non solo non sta riducendo l’ingerenza statale nella vita degli argentini, ma va progressivamente mostrando un attaccamento spasmodico al potere, con sempre più evidenti aspirazioni al suo accentramento nella mani dell’esecutivo. Tale tendenza emerge in particolare nel disegno di legge presentato dal suo governo al Congresso della Nazione e noto alle cronaca politica come ley Bases (al momento, è ancora in discussione al Senato), la quale, oltre a prevedere la privatizzazione degli asset strategici del paese, la riforma del lavoro e l’imposizione di nuove tasse, implicherebbe anche il conferimento all’esecutivo di alcuni poteri che, per costituzione, appartengono al legislativo. Sembra che la sua megalomania sia tale da renderlo indifferente, per no dire irascibile, al confronto tra i poteri (διάλογος, direbbero gli antichi greci), che, invece, dovrebbe essere il punto di partenza anche solo per un minimo miglioramento dello stato, soprattutto se, come nel caso del suo governo, non si possa contare su una maggioranza stabile nel Congresso.
Tra l’altro, in questi primi mesi di mandato ha già attuato, con il beneplacito della sorella Karina, a suo dire la vera jefa, il vero capo, il primo importante rimpasto di governo, sostituendo il capo di gabinetto Nicolás Posse, come già detto in precedenza, suo amico da almeno vent’anni e come lo stesso Milei ex impiegato di Eurnekian, con una vecchia volpe della politica argentina, nonché già suo ministro degli interni, Guillermo Francos, anch’egli un titere, ovvero un burattino del magnate armeno-argentino ed espressione di quella casta di cui, in campagna elettorale, l’attuale presidente si era impegnato a fare pulizia.
Eppure, l’albagia del “leone” Milei, la sua spocchia, tanto ostentata quando si trova all’interno dei confini argentini, sembra completamente sparire nei suoi viaggi all’estero. Da quando è presidente d’Argentina, il libertario ha svolto almeno sei viaggi all’estero. Come già accennato: il primo è stato a Davos, per l’incontro annuale del Word Economic Forum, dove ha potuto ringraziare personalmente i membri della élite mondiale per il loro decisivo contributo alla sua elezione; poi, è stata la volta di Israele, dove ovviamente si è riunito, tra sorrisi ed abbracci, con il suo amico genocida Benjamin Netanayu; infine, è stato ben quattro volte negli Stati Uniti per ossequiare i suoi padroni della Sillicon Valey e rinnovare loro la promessa di svendergli quel che resta del paese andino.
Siamo solo al principio del suo mandato, che, ricordiamo, dura quattro anni, è le prospettive per la società argentina sono tutt’altro che rosee, anzi, all’orizzonte il cielo appare sempre più cupo per il paese andino. Eppure questo sedicente libertario, di fatto uno dei più fedeli servi del potere, è solo l’ultimo nefasto condottiero che gli argentini si sono scelti per portare a compimento quello che potremmo definire un vero e proprio suicidio politico, economico e sociale iniziato da più di un secolo e mezzo, perché, checché ne dica Milei, l’Argentina non è mai stata una potenza mondiale. Da tempo, infatti, gli argentini hanno smesso di essere padroni del proprio destino, pertanto, come direbbe Mariano Moreno, anche il più ridicolo dei tiranni, qual è appunto Milei, riesce a convincere i suoi schiavi a cantare l’inno alla “libertà”.
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