Eurocrati uniti per la (nostra) decrescita felice
Nemmeno il tempo di tirare il fiato per i presunti progressi di pace sul fronte ucraino, che da Bruxelles e Francoforte giungono segnali poco rassicuranti: si parla di usare i conti correnti della gente per finanziare gli oltre ottocento miliardi necessari per armare il fantomatico esercito europeo che, nelle parole dell’ineffabile Draghi dovrebbe avere “una catena di comando al di sopra dei singoli Stati”. E questo Draghi lo vorrebbe applicare anche ai processi decisionali sulle decisioni finanziarie. Niente che non abbiamo già visto negli ultimi cinque anni, ma con diverse aggravanti. Una su tutte, Christine Lagarde, presidente della Banca Centrale Europea, insiste sul cosiddetto Euro digitale, ciò che in termini tecnici si chiama CBDC: Central Bank Digital Currency. Una cosa che sembra partorita da un incubo distopico, perché qui non si tratta solo di soldi virtuali, ma di soldi che possono essere spesi solo come e quando “loro” decidono. Nel senso che se “loro” lo riterranno, i soldi che avremo in mano non solo spariranno, ma dovranno comunque essere spesi tutti entro un tempo dato perché non possono essere accumulati. Soprattutto saranno legati al comportamento dei cittadini, che a questo punto sarebbe meglio definire ostaggi. Incubo? Macché, dopo due anni di sperimentazione l’Euro digitale dovrebbe entrare in corso da ottobre di quest’anno. Servirà a comprare più carri armati per la nuova Wehrmacht europea? Probabilmente, e anche a impedire che qualcuno si voglia sottrarre ai nuovi obblighi che l’Europa assediata impone ai suoi ostaggi, pardon, cittadini.
Perché quella che si profila all’orizzonte sembra essere una nuova Guerra Fredda da combattere su due lati, uno quello russo, l’altro quello transatlantico. Gli eurocrati non fanno mistero di sentirsi traditi dall’America trumpiana e si dicono arciconvinti che la Russia attaccherà l’Europa entro il fatidico 2030, proprio l’anno in cui non vedremo più auto a benzina. Già, ma chi le produrrà più auto nel nostro continente? Non sono in pochi a pensare che tutta la foga sull’auto elettrica sia servita soprattutto a portare al fallimento buona parte delle Case europee e a preparare il terreno per una riconversione industriale votata alla guerra. Guarda caso, adesso nemmeno le armi americane, di cui comunque l’Europa è una buona acquirente, vanno più bene, e probabilmente la ragione sta nel prezzo: un carro armato M-1 Abrams di produzione statunitense costa dieci milioni di dollari, un Leopard 2 tedesco ne costa quattordici, un Leclerc francese oltre diciassette. Facile capire dove si vuole che i Paesi dell’eurozona facciano acquisti.
In fondo, la cronaca lo dimostra, Bruxelles è tutt’altro che immune alle lobby, e non solo a quelle che premevano perché i mondiali di calcio si giocassero nel Qatar o ai cinesi della Huawei, rei di promuovere i loro prodotti come decine di altre lobbies in zona. A cominciare da quelle sanitarie, un caso su cui stranamente non si indaga.
In attesa di una guerra su due fronti che ricorda quella combattuta tra il ’39 e il ’45, l’Italia si barcamena come sempre e compra carri armati coreani invece di quelli tedeschi. Costano un po’ meno e l’Italia ne vuole tanti, non si capisce per fare la guerra a chi. Ad acquisto concluso, l’Esercito italiano potrà contare su oltre trecentottanta corazzati, poco meno dei quattrocentosedici polacchi e molto più dei circa duecentodieci francesi e tedeschi. Nonostante questo il valore azionario delle aziende belliche tedesche è quasi raddoppiato in pochi giorni.
Ci sono malfidati convinti che tutta questa voglia di guerra e di armi non sia altro che un modo per sopperire all’ennesima crisi economica della Germania, proprio come quando – a detta di molti – furono soprattutto Paesi come Spagna e Italia a finanziare la riunificazione tedesca a inizio anni Novanta. Riunificazione su cui ci sarebbe da indagare, perché fu letteralmente devastato il patrimonio produttivo della fu DDR, a cominciare da imprese moderne che avrebbero potuto essere ricollocate in un’economia di mercato senza troppi danni. Ma non era quello che si voleva. Anzi, per anni si è arrivati al paradosso di disoccupati tedeschi che cercavano (e trovavano) lavoro in Polonia. Ma se nel ’90 si trattava di traghettare la nuova Germania unita verso i gloriosi destini comunitari, oggi bisogna salvarla dal colpo mortale che la guerra in Ucraina le ha inferto, quello di non poter più mediare i flussi di gas e petrolio dalla Russia.
Insomma, gli eurocrati sono rimasti delusi dal fatto che l’America, a torto o a ragione, si sia messa a discutere con la Russia su come mettere fine a una guerra che, oltre ad avere fatto centinaia di migliaia di morti, ha pure provocato vergognose speculazioni nel campo dell’energia e delle materie prime. Oggi è proprio quel Draghi che tre ani fa farneticava di scegliere tra la pace e tenere acceso il climatizzatore a venirci a dire che il costo dell’energia è troppo alto, soprattutto in Italia. Bella scoperta. Non solo non produciamo più energia elettrica perché la importiamo a carissimo prezzo dalla Francia, ma abbiamo la tassazione più alta del mondo camuffata da costi di trasporto e contributi alle cosiddette rinnovabili. Senza contare che solo dalle accise dei carburanti lo Stato italiano ricava un quinto dei suoi proventi. L’esecutivo Meloni ci regalerà qualche nuova accisa per pagare i carri armati coreani? Per ora Giorgia si limita a dichiarare che non ci saranno manovre correttive, ma sappiamo benissimo che non ce n’è bisogno per riportare il prezzo della benzina, se serve, ai livelli del 2022.
E sempre Giorgia oggi è intervenuta alla Camera (dove le opposizioni la invitano sempre) per spiegare la sua posizione rispetto ai recenti sviluppi tra Russia e America. “Con l’America per sostenere il processo di pace ma con l’Ucraina per una pace duratura, con l’Europa ma anche con l’Italia” sembra aver detto nel corso di un lungo discorso. Con tutti e con nessuno, trumpiana quando serve, vonderleyeniana per non vedersi arrivare un provvidenziale golpe giudiziario come è successo al Silvio di buona memoria, zelenskyana per cercare di entrare nel business della ricostruzione, anche un po’ putiniana perché bisognerà fare finta che l’Italia abbia mediato a favore della Russia se dovessero normalizzarsi le relazioni con questo Paese.
Mentre Giorgia riferisce alla Camera, senza dimenticare qualche parola a favore di un Mattarella sempre più bideniano e criticato dai perfidi russi, l’industria bellica nazionale sale dal modesto due per cento di valore sulle esportazioni mondiali a un quattro e qualcosa per cento. Sarà contento Crosetto, che ha svolto ruoli importanti alla Leonardo.
Con qualche imbarazzo da parte di un Tajani a sua volta costretto a barcamenarsi tra il suo ruolo di difensore d’ufficio di Bruxelles e il rifiuto di inviare truppe italiane in Ucraina senza un mandato Onu.
Eh, ma come facciamo il caffè in Italia…
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