Bolzano: un altro segno della crisi

Bolzano: un altro segno della crisi

Abbiamo già descritto la situazione attuale di Bolzano e della sua economia in pesante declino, soprattutto a partire dal 2020. Poco dopo la pubblicazione del nostro articolo sulla città è arrivata la notizia che uno degli ultimi capisaldi dell’industria bolzanina, l’acciaieria Valbruna, potrebbe non vedersi rinnovate le concessioni di cui è responsabile la Provincia Autonoma: infatti la struttura insiste su territori di proprietà della Provincia stessa. Non sono in pochi a Bolzano a pensare che proprio la Provincia Autonoma da decenni abbia lavorato attivamente per arrivare alla chiusura di importanti industrie in città: Dupont, Aluminia, Alcoa, Magnesio, e così via. Si dice che lo stesso partito che governa la Provincia da sempre abbia un forte pregiudizio anti-italiano molto forte e che abbia puntato alla fine dell’industria perché la maggior parte degli operai (e dei proprietari) era italiana. Vero o non vero,   non si respira molto ottimismo riguardo al proseguimento delle attività della acciaieria. La chiusura della Valbruna non significa solo la perdita di oltre cinquecento posti di lavoro più il relativo indotto, ma l’ennesimo passo verso la monocultura del turismo che sta uccidendo ogni altro aspetto economico e lavorativo in quella che dieci anni fa era ancora un’oasi felice rispetto al resto della realtà italiana. Alla Valbruna sono stati concessi dodici mesi di proroga, ma ci aspettiamo che gli speculatori dell’edilizia stiano già cercando di fare in modo di appropriarsi di questi spazi. Tutto questo nonostante la ex Lancia, che produce il blindato LMV (uno dei pochi grandi successi di esportazione dell’industria bellica italiana), sia stata acquisita in extremis dal gruppo Leonardo dopo la cessione agli indiani di Tata della fu Iveco, salvando quindi una produzione specialistica in un territorio che a livello industriale sta diventando un deserto. Proprio la vicenda della ex Lancia ha sollevato l’idea del Golden Power, ovvero la facoltà da parte del governo di poter intervenire a difesa del patrimonio produttivo strategico, una facoltà che raramente il governo italiano ha esercitato nel corso del tempo. Pubblichiamo a riguardo un’interessante analisi di Marco Pugliese, giornalista e direttore dell’Osservatorio Economico del sindacato Uil, che descrive tanto il declino economico di Bolzano quanto la vicenda Valbruna.

(IFO)

di Marco Pugliese

La decisione è presa: proroga tecnica di dodici mesi e, allo scadere, apertura di una nuova gara pubblica. Nessuna deroga indefinita, nessuna scorciatoia. Un anno di tempo per garantire continuità e preparare un bando capace di reggere al vaglio delle norme europee e alla concorrenza di mercato.

La proroga tecnica non è una concessione discrezionale, ma uno strumento previsto dal Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 36/2023). Serve solo a evitare interruzioni di servizi essenziali o vuoti gestionali che metterebbero a rischio lavoratori, utenti e intere filiere economiche. Non può superare i dodici mesi e deve avere un obiettivo preciso: consentire alla Pubblica Amministrazione di predisporre una gara trasparente e conforme alle regole comunitarie.

La proroga permette di mantenere attivi i posti di lavoro diretti e l’indotto, assicura entrate fiscali regolari e impedisce un blocco che costerebbe milioni in penali e contenziosi. È un “anno ponte” che garantisce stabilità, ma non può trasformarsi in una routine. Ogni proroga oltre il termine rischierebbe di configurarsi come violazione dei principi di concorrenza, esponendo l’amministrazione a ricorsi e sanzioni europee.

Alla fine dei dodici mesi scatterà la vera partita. La gara pubblica dovrà contenere criteri chiari, requisiti tecnici aggiornati e parametri di sostenibilità. Solo così sarà possibile attrarre operatori qualificati, stimolare la concorrenza e garantire un servizio di qualità. In caso contrario, si rischierebbe di bruciare tempo e di tornare a proroghe forzate, con danni economici e reputazionali.

Il messaggio è netto: la proroga non è una scorciatoia, ma un conto alla rovescia. Dodici mesi per salvaguardare continuità e occupazione, ma anche per dimostrare che il sistema è in grado di rispettare regole e tempi. Dopo, non ci sarà spazio per ulteriori rinvii: la gara sarà inevitabile.

Il 40% delle famiglie non arriva a fine mese a Bolzano!La spiegazione tecnica è semplice: pessima gestione del territorio a partire dal 2010-2015 unità a scarsa lungimiranza nelle politiche d’impatto economiche

Un recente studio IPL evidenzia una situazione preoccupante in Alto Adige: anche con piena occupazione, 4 famiglie su 10 non riescono a coprire tutte le spese mensili. A Bolzano, il costo della vita è particolarmente alto. Per esempio, l’affitto medio di un bilocale supera i 1.000 euro al mese, le bollette possono facilmente raggiungere i 200 euro, e il costo del cibo è tra i più elevati d’Italia. Complessivamente, una famiglia media si trova a spendere circa 1.500 euro al mese solo per le necessità di base, lasciando pochissimo margine rispetto a uno stipendio medio di 1.500-1.800 euro.

Le difficoltà però non si fermano qui. Da un lato, il Patto di Stabilità dell’Unione Europea (e di riflesso il patto Regione-Stato) limita la spesa pubblica, riducendo la possibilità per il governo d’intervenire con aiuti diretti (alleggerimenti fiscali più che bonus) per le famiglie in difficoltà (perché la Ue traduce questi aiuti a debito e lo impedisce) e le imprese (la Germania ha elargito 800 miliardi fuori debito in 10 anni uniti ad accordi energetici che hanno reso le aziende competitive in regime di dumping, un fatto gravissimo visto che il nostro Paese dal 2011 rispetta regole che lo limitano e danneggiano). Dall’altro, l’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla BCE per combattere l’inflazione ha fatto lievitare il costo dei mutui e dei prestiti. Per chi ha un mutuo, la rata mensile può essere salita da 500 a 750 euro con tasso variabile (sempre a causa di miopia della BCE), assottigliando ulteriormente il reddito disponibile.

A Bolzano, il costo della vita è anche influenzato dal turismo (e la pandemia avrebbe dovuto farci comprendere il rischio) ormai di massa che spinge per un approccio “luxury”.. La domanda di alloggi per soggiorni brevi spinge molti proprietari a preferire affitti turistici su piattaforme come Airbnb, riducendo l’offerta di case per residenti e facendo aumentare i prezzi. Anche servizi e beni di consumo subiscono un rialzo: un pranzo al ristorante, ad esempio, può costare 15-20% in più rispetto ad altre città italiane. Questo aumento si riflette nei prezzi al consumo, che gravano anche sulle famiglie locali.

Di fronte a questi dati anche solo sfiorare discorsi sulla chiusura delle Acciaierie vi fa capire come alcuni attori politici siano lontani dalla realtà. L’Alto Adige paga oggi scelte di politica economica attuate tra 2010 e 2015 che hanno applicato schemi volti ad economia di servizio a scapito d’economia di produttività.

Aggiungiamo che la tripla A di rating dell’Alto Adige deriva da questo: la Provincia (Stato) paga con regolarità le commesse alle imprese, in pratica non parliamo di “mercato aperto” ma abbiamo primario ed indotto “dipendenti” da un circuito chiuso, deleterio e lo abbiamo visto con la pandemia.

Sui social leggerete commenti ed analisi di pseudo politicanti che hanno tre difetti:

– non conoscono come funziona la Ue

– sono la causa diretta di tali politiche e quindi non si capisce come possano risolverle

– applicano schemi ideologici che antepongono l’interesse di partito a quello nazionale e dei cittadini

Ci stiamo perdendo la classe media (insieme alle Pmi), ovvero chi tiene in piedi il Paese da 50 anni…

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