Italia fantasma

Italia fantasma

No, non stiamo parlando di esoterismo, né di fenomeni paranormali. Parliamo di quell’Italia che sta scomparendo, quella delle campagne e dei piccoli centri. Piccoli centri che, scusate se è poco, sono oltre la metà dei Comuni italiani.

Ed è una cosa che riguarda tutto il Paese senza distinzioni da Nord a Sud. Osservando i grafici si noterà che le aree appenniniche sono in desertificazione demografica perlomeno dagli anni dello sviluppo economico degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma se all’epoca era comprensibile che la gente emigrasse da paesini dove si viveva come nei secoli passati verso città che promettevano qualcosa di meglio, oggi potremmo dire che non è più l’industria a portare via gente dalle campagne: è la mancanza di servizi.

Niente mezzi pubblici, niente scuole, niente presìdi medici.

Chi vive alle falde della catena appenninica negli ultimi anni si è visto togliere quegli ausili essenziali che gli permettevano di fare una vita normale.

Ragionando su un piano squisitamente economico, e quindi in parte opportunistico, si può dire che non conviene tenere in piedi una struttura scolastica per un borgo di cento anime, nemmeno dargli il medico condotto (come si diceva una volta, prima del gergo nazional-sindacale che lo ha definito “medico di base”); tantomeno una linea di autobus per raggiungere centri più importanti, peggio ancora se parliamo di una ferrovia.

Già, le ferrovie locali. Quelle scampate alla mattanza degli anni Cinquanta e Sessanta sono arrivate fino a una ventina d’anni fa in condizioni precarie ma ancora in grado di assicurare un minimo di servizio. Poi sono arrivate le Regioni. E le Regioni si sono date a distruggerle completando l’opera iniziata nel dopoguerra. Quelle linee ancora in funzione scontano negli ultimi anni una paralisi pressoché permanente in virtù di lavori di “potenziamento” (che poi non rappresentano nemmeno la manutenzione minima) infiniti: una tendenza aggravata dal delirio dovuto al PNRR. Chi vive in un piccolo centro oggi non può spostarsi, non può mandare i figli a scuola, non può curarsi. E alimenta, tra le altre cose, quella transumanza sanitaria di cui abbiamo già parlato verso le Regioni del Nord, il Pil delle quali deve una certa aliquota ai rimborsi sanitari conferiti dalle altre Regioni.

Molti danno la colpa all’invecchiamento della popolazione, fatto senz’altro vero: ma hanno pensato al fatto che il nostro Paese in europa è l’unico in cui in trent’anni gli stipendi sono calati? Anche in un lasso di tempo molto più breve, ovvero gli ultimi cinque, c’è stato un ulteriore crollo del 7,5% nelle retribuzioni che si va a sommare a quel 30% di inflazione dovuto alle gloriose trovate del 2020.

Alle gloriose trovate del 2020 dobbiamo aggiungere quelle altrettanto gloriose della guerra in Ucraina, pretesto universale per giustificare qualsiasi spreco e ruberia negli ultimi tre anni e mezzo: dalla speculazione sulle materie prime alle spese pazze dell’eurozona per contrastare un improbabile attacco russo. Scusate, se i russi volessero davvero invaderci non dovrebbero farlo ora che siamo indifesi? A proposito, ma qualcuno oltre oceano non aveva detto che questa guerra (come altre) sarebbe finita con qualche telefonata?

Grazie al 2020 e alla guerra le nostre bollette sono aumentate di oltre il quaranta per cento in cinque anni: roba da Argentina con e senza Milei. E dobbiamo ancora sentirci dire che gli italiani non fanno più bambini perché sono egoisti e vogliono godersi la vita. Chi dice cose simili lo sa che un pacco di pannolini nella vicina e costosissima Svizzera costa la metà che da noi? Stesso vale per i prodotti per l’infanzia, i vestitini, l’asilo e tutto il resto.

Col risultato che i giovani se ne vanno comunque dalle piccole città lasciando a casa gli anziani, ormai pensionati o quasi.

E’ una banalità che si legge spesso sui quotidiani, ma rappresenta la verità: l’Italia è un Paese sempre più vecchio anagraficamente con una popolazione in calo. Le grandi città, soprattutto quelle del Nord, continuano ad essere la calamita delle migrazioni interne, proprio come negli anni Sessanta.

Ma come non pensare che questo taglio costante di servizi al pubblico non sia solo dovuto a calcoli di convenienza, quanto piuttosto a una volontà di risparmiare anche eliminando la necessità stessa di fornire i suddetti servizi? Quindi, togliamo tutto a chi vive nei paesini, impediamogli di spostarsi e di curarsi, e se ne andranno a casa dei nipoti in città. Nipoti in città che spesso e volentieri al massimo fanno i commessi in qualche negozio di telefonia, se va bene, perché questo offre il mercato.

In un contesto simile tocca pure sentire quelli che propongono di ripopolare i borghi deserti con i turisti o, peggio ancora, con qualche improbabile “ecovillaggio” come andava di moda dire cinque anni fa.

E’ l’Italia parco dei divertimenti, quella che sta prendendo piede un po’ ovunque, quella di intere zone del Paese dedicate a un turismo danaroso che esclude i locals. Intere cittadine si trasformano in alberghi diffusi, qualunque cosa voglia dire, perfino alcune linee ferroviarie volutamente dismesse anni fa (due per tutte, la Sulmona-Carpinone e la Avellino-Rocchetta Sant’Antonio) tornano a funzionare, ma solo per i turisti e qualche occasionale sagra enogastronomica.

Ah già, il turismo è il nostro petrolio, dicono.

Sta di fatto che quel poco di petrolio che abbiamo, soprattutto in Basilicata dove c’è il più grande giacimento dell’europa continentale, lo abbiamo regalato ai francesi e perfino ai giapponesi, mentre quello che sta fuori costa non si può sfruttare perché chi aveva interesse a tenere i prezzi alti ha fatto in modo che diventasse impossibile: così, niente piattaforme, né del gas né del petrolio nei nostri mari.

A tutto vantaggio di chi vuole farci importare combustibili da fuori a prezzi sempre più alti.

Ma questa è un’altra storia, qui vogliamo parlare di chi deve farsi cento chilometri ad andare e cento chilometri a tornare per raggiungere il capoluogo e sbrigare una delle tante pratiche di burocrazia di cui il nostro Paese abbonda. E per farlo si deve inerpicare lungo statali dissestate ma piene di autovelox e rotonde inutili.

Fino a quando?

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