Il rito del discorso di fine anno da parte del capo dello Stato è una consuetudine comune a quasi tutti i Paesi del mondo. In Italia rappresenta normalmente una serie di banalità e luoghi comuni da omelia di quart’ordine. Probabilmente l’ultimo discorso che avesse qualche significato lo ha pronunciato il presidente Cossiga nel ’91 o ’92.
E quindi eccoci di seguito con parole di circostanza sulla pace nel mondo sottolineando che per la guerra si spende ventotto volte di più che per la presunta emergenza del surriscaldamento globale, che c’è un divario tra ricchi e poveri da colmare, che ci sono incidenti sul lavoro; immancabile il riferimento ai femminicidi e alla Cecchetin (senza dimenticare la giornalista Cecilia Sala detenuta in Iran, sulla quale torneremo tra poco), per concludere con il consueto riferimento alla Patria e ai militari e sportivi che la glorificano; senza dimenticare infine che il 2025 è l’ottantesimo anniversario della liberazione. Stranament nessuna menzione riguardo al Giubileo venturo, evento che ha già trasformato Roma in un inferno di misure di sicurezza e cantieri.
Nel mondo dei social il discorso del presidente viene generalmente accolto con cinismo, a noi invece piacerebbe suggerire alcuni temi che con la vita degli italiani hanno molto più a che fare rispetto alla liberazione o alla Sala.
Per esempio il fatto che nelle prime ore di domani l’Ucraina impedirà il passaggio del gas russo verso l’Europa, cosa che ha già provocato un aumento significativo del costo del metano come non se ne vedeva dal famigerato 2022. In Ucraina la guerra continua a impazzare, anche se, ripetiamo, non si tratta di molto di più che di una serie di schermaglie di confine senza cambiamenti significativi nelle rispettive posizioni. Dove invece risultati di rilievo se ne sono ottenuti eccome, è nella speculazione sul costo dell’energia. Ricordiamo tutti come già prima dell’inizio delle ostilità, era l’estate del 2021, gas e carburanti sono rincarati all’improvviso provocando un’impennata dell’inflazione da cui non ci siamo mai ripresi. Questo fenomeno, unitamente alla stretta creditizia applicata dalla Banca Centrale Europea, ha provocato una spirale recessiva dalla quale non siamo ancora usciti e probabilmente non usciremo ancora a lungo. Nel frattempo russi e americani hanno guadagnato molto da questa situazione: i russi perché gas e petrolio continuano a vendercelo attraverso Paesi terzi come l’India, gli americani perché ci stanno imponendo i loro prodotti con l’aggravio di una filiera logistica di non poco conto. C’è poi da dire che buona parte del costo delle bollette che siamo costretti a pagare è vincolato solo in minima parte al costo vivo dell’energia, perlopiù è costituito da tasse (pensiamo all’Iva che si paga due volte in virtù della “rivalsa” praticata dai gestori) e dai cosiddetti oneri di trasporto, oneri che consistono soprattutto nel finanziamento alle cosiddette fonti rinnovabili. In un Paese come l’Italia che una volta le rinnovabili ce le aveva eccome, ed erano le centrali idroelettriche che oggi vengono usate per alimentare centri di analisi e consimili piuttosto che le reti elettriche. L’energia la importiamo a caro costo dalla Francia sotto la spada di Damocle di un’interruzione totale come quella del 28 settembre 2003. Ci hanno raccontato fu un albero caduto sui fili a mettere al buio l’Italia, e noi ci abbiamo bellamente crduto. Le nostre quattro centrali nucleari sono ferme dal 1986 in seguito a un referendum scaturito dall’impatto emotivo della tragedia di Chernobyl e probabilmente da contributi interessati alla propaganda ambientalista da parte di chi aveva interesse a che non fossimo più autonomi nella produzione di corrente.
Mattarella non ne ha parlato.
Mente il pubblico è distratto dai quotidiani sbarchi di disperati in Sicilia e limitrofi, nessuno ha menzionato il fatto che dal nostro Paese sono emigrate oltre centotrentamila persone nel 2019, un po’ meno negli anni brutti tra il 2020 e il 2022, e di nuovo più di ottantanovemila tra 2023 e 2024. Si tratta perlopiù di giovani che “si trasferiscono” soprattutto in Germania/Gran Bretagna/Svizzera alla ricerca di condizioni di vita migliori. Già, perché fra il 1993 e il 2023 l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver visto calare gli stipendi medi, per non parlare del pastrocchio pensionionistico che farà sì che la pressione contributiva si mangerà quel poco che rimane degli stipendi stessi.
Mattarella non ne ha parlato.
Nel solo 2024 la produzione industriale è calata del quarantatrè virgola settanta per cento, un risultato perfettamente in linea con la recessione programmata avviata trentadue anni fa. Certo, è la crisi complessiva dell’Europa che ha prodotto questo dato, a cominciare dal fatto che il principale mercato di riferimento dell’industria italiana, la Germania, è entrata in una crisi simile a quella in cui siamo entrati noi tre decenni fa. Ci permettiamo di far notare che fino agli anni Novanta i mercati di riferimento della nostra industria erano senz’altro più numerosi e diversificati rispetto a oggi, merito anche di una politica estera oculata che ci permetteva di fare affari pressoché con chiunque. Oggi, tra sanzioni, politiche green e quant’altro, basta che rallenti il mercato europeo per trascinare il nostro comparto produttivo in una crisi che produrrà solamente altra decrescita, altra recessione. Come non pensare, poi, alla svendita di settori significativi del nostro patrimonio industriale ad entità estranee e spesso poco identificabili come i fondi di investimento. Non pensiamo solo a quella che fu la Fiat, oggi un conglomerato finanziario con sede in Olanda, ma di come nei mesi scorsi la stessa rete della Telecom Italia sia stata ceduta al fondo di investimento americano KRR. O come il settore aeronautico della Piaggio, un tempo un’eccellenza mondiale, oggi sia di proprietà di un’azienda turca. A proposito, chi si lamenta di come l’ex-Fiat oggi abbia trasferito la sede in Olanda grazie a migliori condizioni fiscali e organizzative, dovrebbe chiedersi come mai non riusciamo in Italia a realizzare condizioni simili. Troppo comodo prendersela con i cosiddetti paradisi fiscali visto che l’Italia è un inferno di tasse e burocrazia.
Mattarella non ne ha parlato.
Sulla questione Sala c’è poco da dire: l’arresto della giornalista italiana in Iran è avvenuto di seguito all’arresto in Italia del medico persiano Mohammed Najafabadi di qualche settimana fa su mandato degli Stati Uniti. Il medico iraniano è detenuto nel carcere di Opera a Milano e si proclama estraneo a qualsiasi accusa, ovviamente non sappiamo giudicare quanto ci sia di vero in questo, ma i due eventi non rappresentano assolutamente una coincidenza. Probabilmente la cosa si risolverà in poche battute attraverso i consueti canali di diplomazia riservata che una volta l’Italia era molto brava a mettere in campo.
Su questo Mattarella non può ovviamente scendere in dettagli ammesso che sia informato su tutte le implicazioni della vicenda.
Riguardo noi, persone comuni, sappiamo invece che l’anno che sta arrivando ci regalerà altra recessione, altre tasse, altra burocrazia imbecille.
Di questo Mattarella non ha parlato e non parlerà.
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