Informazione e manipolatori internazionali: i soliti noti

Informazione e manipolatori internazionali: i soliti noti

L’annuncio di Donald Trump, ancora in campagna elettorale, di revocare i finanziamenti all’USAID al fine di scioglierlo ha provocato non poche manifestazioni di gioia negli ambienti del cosiddetto “dissenso” e della “controinformazione”, illudendoli circa l’arrivo, o il ritorno a seconda delle concezioni, della libertà di espressione e di pensiero nel mondo virtuale. Altri, tra quelli più concentrati sulle questioni internazionali, hanno visto nella fine dell’USAID la chiusura definitiva dell’epoca delle “rivoluzioni colorate” e delle ingerenze negli affari interni dei Paesi esterni al “Washington Consensus”; i più modesti si sono limitati a esultare per la possibilità, connessa a questa decantata “ventata di libertà”, di potersi esprimere sulle reti sociali senza doversi censurare con artificiose terminologie “politicamente corrette”.

Difficile da dire quale di questi miraggi sia più lontano dalla realtà. Da un lato, il Digital Service Act dell’Unione Europea rimane in vigore, con tutte le limitazioni e le restrizioni del caso; dall’altro, l’informazione occidentale rimane concentrata nelle mani dei soliti noti, facenti capo, direttamente o indirettamente, alla Open Society Foundation di Soros e, per osmosi, al National Endowment for Democracy, anch’esso “sopravvissuto” ai tagli di Trump e Musk. In Italia il monopolio informativo è detenuto dal Gruppo Gedi, che ha fagocitato testate tra le più disparate in questi ultimi anni e funge sostanzialmente da traduttore e passacarte di tutto ciò che appare sul New York Post, sul Washington Post e alla CNN; nel Regno Unito la BBC è sotto controllo sostanzialmente “misto”, ma con padroni rispondenti di fatto allo stesso burattinaio di oltreoceano. Nelle notizie di politica estera questo risalta ancor più nitidamente: se in ambito mediorientale le notizie passano tutte dal Wall Street Journal, per gli “Stati canaglia” più ostracizzati le notizie provengono tutte dagli outlet dello Stato ostile immediatamente più vicino, tradotte e diffuse in tutto il “mondo libero”: è così per la Russia, dove abbiamo dovuto sorbirci fandonie delle più inverosimili (dai soldati russi che combattevano con le pale e senza calzini, alle babushke ucraine che abbattevano i Su-35 coi barattoli di pomodori e avvelenavano interi plotoni con torte avvelenate) provenienti tutte dal Kyiv Independent e dalla Ukrainska Pravda; è così, da tempi più remoti, per la Corea del Nord, le cui sensazionalistiche denigrazioni sono in realtà parti di testate del “calibro” del Chosun Ilbo e del Dong-A Ilbo e filtrate da piattaforme come NK News, recentemente finita al centro di una diatriba con l’Associazione dei Giuristi Democratici di Corea (avente sede a Pyongyang) per l’uso illecito e a fini calunniosi di materiale nordcoreano coperto da copyright.

Del resto, anche allargando lo sguardo, la situazione non cambia: Wikipedia, da sempre elogiata come “enciclopedia libera” e “bocca della verità” da autoproclamati esperti che ne inseriscono i link persino in tesi e trattazioni accademiche, segue lo stesso schema. Parlando, un paio d’anni fa, al podcast System Update di Glenn Greenwald, è stato lo stesso cofondatore del sito, Larry Sanger, ad ammetterlo e lamentare che fosse diventato uno strumento di controllo di CIA, FBI e altre agenzie di spionaggio statunitensi già tra il 2007 e il 2008, quando veniva rimosso ogni riferimento alle vittime civili irachene ad opera dei bombardamenti “democratici” di Washington. Rivelazioni che hanno fatto eco a quelle del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, il quale però ha svelato poco più che un segreto di Pulcinella, ovvero che il più grande social al mondo sia stato “saccheggiato” nel 2020 per imporre la narrazione pandemica e censurare ogni voce discordante, soprattutto se basata su solide basi scientifiche, una prassi ripetutasi a beneficio della campagna elettorale di Joe Biden.

È proprio il periodo corrispondente all’amministrazione Biden negli Stati Uniti, infatti, che la censura liberale ha visto le sue più vistose recrudescenze: nel periodo iniziale dell’operazione militare speciale russa in Ucraina sia Washington che Bruxelles hanno silenziato RT e, ancora di recente, imposto restrizioni ad altri media russi come RIA Novosti, Russia 1, Izvestia e Rossijskaya Gazeta, fatto ancor più grave se si pensa che si tratta di media ufficiali e non di singoli attivisti; si faccia un confronto col periodo della (prima) Guerra Fredda, quando circolavano notizie tradotte in italiano di TASS e RIA Novosti, esistevano voli diretti con l’Unione Sovietica e nelle edicole si poteva perfino trovare la Pravda nella nostra lingua. Quattro decenni dopo, Roma ha invece ritenuto opportuno chiudere definitivamente Sputnik Italia…E se Trump ha annunciato una prossima revoca del blocco di RT, l’Unione Europea neanche affronta il tema e anzi rafforza le pressioni su Telegram per imporre la propria linea censoria anche su questa piattaforma, neanche facente base nel suo territorio. Di fatto, lo scontro tra gli Stati Uniti tornati al trumpismo e l’Unione Europea ancora impostata sul “bidenismo” resterà la tendenza principale per i prossimi mesi, tra la guerra dei dazi e le tensioni politiche tra il creatore e la creatura che, chiaramente, non potranno che avere effetti deleteri su quest’ultima: incapace non solo di confutare, ma anche solo di sopportare e tollerare una narrazione razionalmente organizzata su basi diverse e opposte alle proprie, l’UE spera evidentemente in una “divisione dei compiti” che ricorderà piuttosto la disastrosa avventura degli italiani in Grecia durante la Seconda guerra mondiale, mentre i nazisti si impegnavano sul fronte africano. Senza risorse né militari né finanziarie per sobbarcarsi una guerra contro la Russia, ma neanche la ricostruzione dell’Ucraina, la propria “ucrainizzazione” generale viene vista a Bruxelles come unico mezzo per rivendicarsi una qualche vittoria su Putin, ma senza alcun beneficio pratico all’orizzonte. Del resto, nel momento in cui a Kiev si sono messi al bando 13 partiti d’opposizione e chiusi 8 media perché discordi dalla voce del regime, l’avvicinamento all’Europa sognato dal Maidan undici anni or sono può già dirsi compiuto.

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