E’ notizia di questi giorni che i nostri eurocrati starebbero cercando di assestare un altro dei loro colpi da maestro: avete presente i fondi comunali, provinciali, e regionali? Vogliono gestirli loro. L’idea è quella di mettere insieme oltre 530 progetti nazionali per oltre 1,2 trilioni di euro nel periodo 2028/2034.
In sostanza, gli enti locali di tutta l’unione non saranno più liberi di gestire i loro bilanci, ma dovranno chiedere alla Commissione, la quale condizionerà i finanziamenti all’implementazione delle arcinote politiche DEI (diversity, equality, inclusion) e ESG (environmental, social, government), senza dimenticare la transizione ecologica e quella digitale.
Il comune di Caorso vuole tenere aperte le scuole? Se non fa le piste ciclabili non riceverà più fondi per l’istruzione. Il comune di Frascati vuole realizzare un piano di edilizia popolare? Non potrà farlo se nell’organico amministrativo non saranno stabilite quote rosa e gay. Il comune di Enna vuole fornire assitenza agli anziani? Senza inasprire la zona a traffico limitato ed eliminare la carne dalle mense scolastiche sarà impossibile.
Stessa cosa per le Regioni, che a dire il vero sono comunque il pozzo di San Patrizio del debito pubblico e del populismo assistenziale.
Questo insieme di belle pensate è un progeto a cui sta lavorando la Commissione europea per mezzo di un gruppo di “esperti”, uno di loro avrebbe accettato di parlare col sito tedesco-americano “Politico”, che certo non può essere accusato di sovranismo, a condizione di rimanere anonimo.
Rimane da vedere come reagiranno i governi nazionali, sempre che di governi nazionali nel 2024 si possa ancora parlare, visto che i singoli Stati che compongono gli Stati Uniti d’America hanno molto più margine di manovra dei vari regimi europei. Nel tempo si stanno confermando tutti i timori di chi vede nell’Unione europea una sorta di nuova Unione Sovietica in salsa green, oppure un Quarto Reich dove i tedeschi continuano a dettare l’agenda.
C’è da dire che l’approccio sovietico ai temi del clima e della natura era diametralmente opposto a quello degli eurocrati, nella visione del Politburo la natura e le sue forze erano elementi da dominare a vantaggio dell’uomo e del progresso. I nazisti invece predicavano un ritorno alla natura e al mondo pre-industriale, ma solo per i territori conquistati che dovevano venire spogliati tanto delle risorse quanto di qualunque capacità produttiva non servisse ai tedeschi.
Ma non sta succedendo da un po’ una cosa simile anche da noi? Noi italiani dovremmo saperlo bene, visto che da trentadue anni l’indutria è in fase di svendita e dismissione. Si è cominciato negli anni Novanta con le cosiddette cattedrali nel deserto come le fonderie della Italsider e l’industria pesante rappresentata dalla Breda o dalla Ansaldo. Il governo, col prestesto dell’ambiente e del “ce lo chiede l’Europa” nel tempo ha devastato il patrimonio industriale imponendo alle imprese rimaste condizioni e costi sempre più stringenti, ottenendo come risultato la delocalizzazione in aree del globo più compiacenti. Il risultato è un’Italia che realizza ormai solo qualche prodotto di eccellenza, che sia moda o macchinari, spesso e volentieri dopo che i padroni originari hanno ceduto marchio e competenze a qualche fondo di investimento straniero.
Visitare certe aree della Penisola dà l’impressione di trovarsi una qualunque repubblica ex-sovietica: capannoni abbandonati, scheletri di fabbriche e scali ferroviari in rovina. Proprio come se fossimo nella Moldova o in Armenia, con la differenza che laggiù si godono anche installazioni abbandonate dell’Armata Rossa sotto le quali potrebbero esserci scorie radioattive.
Ma le scorie radioattive le abbiamo anche noi: per esempio nei siti delle nostre quattro ex-centrali nucleari abbandonate dopo il 1986 in seguito alla psicosi da Chernobyl e a uno sciagurato referendum dal quale ci hanno guadagnato solo i francesi che ci vendono energia a carissimo prezzo, prodotta da una trentina di impianti atomici. Qualcuno ricorderà il blackout del 28 settembre 2003 che mise al buio tutta Italia. Molti meno ricorderanno che il presunto incidente , ufficialmente dovuto a un albero caduto sulle linee elettriche, è arrivato nel bel mezzo di una querelle tra Italia e Francia sul prezzo dell’energia. Ad essere malfidati verrebbe da chiedersi da DOVE sono arrivati i fondi per il referendum dell’86…
Si potrebbe dire la stessa cosa riguardo al nostro petrolio e al nostro gas. Tra Campania e Basilicata esistono giacimenti petroliferi solo in parte sfruttati, eppure già i siti di Viggiano e della Val d’Agri costituiscono il più grande complesso dell’Europa continentale.
Dati alla mano, nel 2023 sono state estratte quattro milioni e duecentotrentamila tonnellate di petrolio greggio per una produzione giornaliera di 70675 barili al giorno. Il petrolio italiano allo stato attuale conta solo per il sette per cento del nostro consumo ordinario mentre il resto viene importato dall’estero. I recenti fatti in Ucraina hanno fatto sì che dovessimo rinunciare al petrolio russo in favore di quello statunitense, che insieme al gas viene importato a caro prezzo da oltre Atlantico.
Eppure si stima che esistano riserve per oltre un miliardo di barili. Poca cosa se consideriamo quanto viene estratto in Norvegia e Regno Unito, ma bisogna considerare che molti dei nostri impianti estrattivi sono chiusi o sottoutilizzati per ragioni di accordi sul costo del greggio. Aggiungiamo che siamo gli unici in Europa ad avere una legge che impedisce la realizzazione di piattaforme petrolifere a meno di dodici miglia dalla costa, mentre per esempio i croati questo problema non se lo fanno e stanno coprendo buona parte del loro fabbisogno di gas con quello che hanno in Adriatico.
“In Italia ci sono petrolio e gas per riempire un accendino”, dice qualche benaltrista. D’accordo, ma se riuscissimo a salire dal sette al trenta per cento del nostro fabbisogno coperto tramite impianti nazionali avremmo già vinto. Soprattutto alla luce del fatto che non ci è più consentito installare leader come Gheddafi per concedere campo libero all’Eni (che ormai è quasi di proprietà statunitense) e lavorare in regime di monopolio.
In compenso i carburanti sono tra i più cari del continente e le accise portano allo Stato oltre il venti per cento delle sue entrate complessive. Proprio quelle accise che in campagna elettorale il nostro attuale ministro dei Trasporti avrebbe voluto abolire, mentre adesso si parla di aumentare di dieci centesimi al litro quelle sul gasolio portandone il costo di acquisto alla pari con quello della benzina.
Abbiamo già detto che costo dell’energia e del denaro sono gli strumenti che eurocrati e americani mettono in campo col pretesto di diminuire l’inflazione? Eppure sono proprio le due leve che provocano inflazione. Ma forse l’obiettivo è proprio quello i congelare i consumi in vista non si sa di cosa.
Di una guerra, per esempio?
Proprio il nostro ministro degli Esteri Tajani in questi giorni sta tirando fuori un vecchio feticcio degli eurocrati, quello di un esercito europeo. Aggiunge il presidente francese Macron, che questo esercito dovrebbe essere dotato di armi nucleari, che peraltro il suo Paese possiede già in abbondanza. Non è un caso che negli ultimi due anni l’unico settore industriale in crescita nel Continente sia proprio quello militare, verrebbe da pensare che prima o poi tutto questo “hardware” qualcuno lo voglia usare.
Resterà il diritto di rimanere perplessi di fronte a tutto questo e di poterlo esprimere qui su internet? Forse no.
A seguito di un ennesimo “progetto” europeo, l’Italia e la Francia dal 2025 imporranno la verifica dell’identità di chi va su internet. All’inizio la cosa dovrebbe riguardare solo i siti per adulti (fa già ridere così), ma poi si dovrebbe estendere a quelli dove si possono trovare “incitazioni all’odio”, e ovviamente fake-news.
In pratica l’accesso libero riguarderebbe solo siti di ricette o di gattini. Niente che una buona VPN non possa risolvere, ma notiamo che i famigerati “standard della community” stanno traboccando dai social a tutto il mondo della comunicazione in genere.
Chi può se ne vada fuori da questa gabbia di matti, diciamo sul serio.
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