di Giuliano Fresi
Cominicia oggi l’avventura de I fatti e le Opinioni, un blog di storia, politica, e attualità.
La nostra idea è quella di offrire una visione diversa dal solito dei fatti del mondo raccontandoli in maniera diversa da come fanno i mezzi di informazione allineati.
Noi non siamo allineati. Anzi, su questo blog troverete pareri e visioni a volte in contrasto tra di loro: se vi aspettate un pensiero unico, qui non c’è.
E non potevamo cominciare in un periodo più “interessante”, almeno secondo la visione che i cinesi danno di tempi travagliati e confusi.
Gli ultimi quattro anni hanno in effetti rappresentato un’accelerazione di alcuni fenomeni che forse, in assenza di eventi traumatici e volutamente sconvolgenti come quelli del 2020, avrebbero richiesto senz’altro più anni per manifestarsi. Ci riferiamo a un pesante autoritarismo di ritorno che osserviamo nelle piccole e grandi cose, ci riferiamo a un progressivo esproprio delle libertà individuali e civili. Non a caso per abituare il pubblico a vivere sotto sorveglianza costante c’è voluta una presunta epidemia che ha scatenato fenomeni repressivi che con tutto hanno a che fare eccetto che con la salute.
Anche la guerra ha fatto la sua ricomparsa dalle nostre parti, uno strano conflitto che vede due parti in causa che non possono combattere realmente: la prima per oggettiva incapacità, la seconda perché combattere davvero significherebbe scatenare un conflitto mondiale. Nel frattempo questo ha consentito di speculare su gas e petrolio riportanto oltre Atlantico la gestione politica delle forniture dopo decenni di presunta autonomia. Un’autonomia che, non molti lo ricordano, fu proprio l’Italia a inaugurare a fine anni Cinquanta quando il patto tra Enrico Mattei, presidente dell’ENI, e lo Shah di Persia segnò la fine del monopolio anglo-americano.
Oggi i Paesi europei devono nuovamente fare riferimento a Washington per decidere come e dove approvvigionarsi, e ci sono Paesi come l’Italia che non solo non sfruttano il gas e il petrolio che hanno, ma chiudono i siti estrattivi in nome di non ben precisate politiche ambientali. Politiche ambientali che, a livello continentale, oggi portano tutte verso il ritorno del nucleare, vista l’insistenza su una transizione energetica che altrimenti sarebbe impraticabile. Tutto questo mentre si devastano milioni di ettari con pannelli solari e generatori a vento incapaci di produrre se non quantitativi minimi di corrente elettrica.
Tutto questo mentre una Commissione europea, oggi più che mai imbaldanzita dai risultati elettorali, procede a passo di marcia verso l’espropriazione delle case dei meno abbienti e della possibilità di mantenere un trasporto privato di massa come è stato dal dopoguerra a oggi.
Ma forse l’obiettivo è proprio quello di controllare con qualche scusa la vita dei più: perché la sorveglianza stessa è un business, a cominciare dalla tracciabilità dei pagamenti più infinitesimali che attraverso le commissioni bancarie produce una buona fonte di reddito per gli istituti.
A chi crede che tutto questo nasconda mandanti e finalità ultraterrene se non religiose ricordiamo che da quando esiste la civiltà umana il motore di tutto è sempre stato il vantaggio economico. Il resto sono sovrastrutture.
In una Europa sempre più impoverita e ostaggio di una Commissione sospettamente vicina a interessi economici di parte, tutti tesi a capitalizzare dalla cosiddetta transizione, noi ci troviamo in un’Italia sempre più povera e marginalizzata. Sono trentadue anni che l’Italia ha imboccato una parabola discendente dalla quale non si vede via d’uscita. Chi ha vissuto abbastanza da ricordare come è iniziata saprà che il primo colpo di fucile di quello che è stato un vero e proprio colpo di Stato è niente di meno che l’uccisione del giudice Falcone avvenuta a Palermo il 23 maggio del ’92. Il giorno prescelto non è casuale: proprio quella mattina le Camere avrebbero dovuto votare Giulio Andreotti alla presidenza della repubblica, un riconoscimento quasi naturale per chi ha nel bene e nel male retto le sorti del Paese per buona parte del dopoguerra. Non andò così. Anzi, da quel giorno iniziò un processo di devastazione della classe dirigente economica e politica dell’Italia a tutto vantaggio di altre nazioni interessate a togliersi di mezzo un concorrente fastidioso.
Soprattutto, alla luce della fine della Guerra Fredda e della stessa Unione Sovietica, tenere in piedi un’Italia tra le prime economie mondiali semplicemente non serviva più. L’interesse si era spostato a Est come la tragedia della guerra civile iugoslava ha dimostrato.
L’Italia è l’unico Paese europeo nel quale gli stipendi in trent’anni sono calati. Per fare un esempio, il reddito medio negli anni Ottanta era l’84% di quello statunitense e il 94% di quello tedesco. Oggi siamo al 64% di quello statunitense mentre anche il reddito pro-capite tedesco sta precipitando velocemente.
Ma quello che è scaduto in maniera tragica in questi trentadue anni è la qualità complessiva della classe dirigente. Dal 1992 a oggi abbiamo avuto (e votato) solo mezze figure perfettamente funzionali allo scopo di trasformare l’Italia da una delle prime economie mondiali a mercato di servizi di basso valore ma ad alto costo.
Ne usciremo?





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